In nessuna area della civiltà umana forse come nell’Atene democratica si riescono a rintracciare tanto in evidenza svolte e innovazioni culturali così radicali da cambiare il pensiero umano e l’itinerario della civiltà. Lo si avverte soprattutto nell’Atene post periclea allorché, nell’attività sempre più varia e intensa degli intellettuali, si individua un cambiamento che porta dalla contemplazione della sacralità del mito ad un sguardo sempre più centrato sul magma ribollente della varietà del pensare e del sentire degli uomini. Alla base contestuale di questa svolta c’è, naturalmente, la centralità della vita sociale con la democrazia caratterizzata dalla isonomia, cioè dalla parità di regole, e dalla isegoria, le pari opportunità di espressione. A catalizzare questo cambiamento, i sofisti itineranti e quindi diffusori, in tutta l’area greca e concomitante, dell’importanza della parola come regolazione dei ruoli nella vita sociale.
Emerge sempre più, con il primato della parola, l’importanza di questo veicolo comunicativo che si avvale di razionalità nei concetti e nelle tecniche persuasive. Certo è che l’intellettuale non proclama più la contemplazione e l’obbedienza alle immobili credenze ma dirige e favorisce la ricerca dell’attività razionale per scoprire e fissare sempre nuove e personali verità. E’ evidente come in questa direzione si possa passare dal relativismo estremo condannato da Platone ( più o meno saggiamente) nei sofisti alla spinta verso la conoscenza attraverso la parola della verità da parte dell’umanesimo valoriale, peraltro sempre comunicato verbalmente da Socrate. Certo è che si passa nell’attività intellettuale dalla funzione puramente celebrativa della ricerca del consenso (inni preghiere e narrazione epica) alla critica spesso di demolizione che richiede attività razionale e sfocia in varietà di giudizio.
Così nella scala dei valori sociali ci si sposta dalla verticalità umana eccezionale dell’eroe all’abilità dialettica del persuasore o dell’oratore e la parola con le sue infinite sfumature e il suo potere persuasivo diventa lo strumento centrale anche nella gestione del potere sociale e nell’acquisizione o mantenimento di quello politico. Non si può sottacere il fatto che questa centralità della razionalità è adoperata da alcuni come Socrate esclusivamente a disposizione della compiutezza della formazione umana e al di fuori di ogni intento di servizio particolareggiato ma è anche innegabile che questa centralità della parola è ormai, dovunque e comunque, in grado di penetrare e modificare molti ambiti di attività. E’ anche per questo che possiamo vedere come nella narrazione si passi dallo splendore fisso delle narrazioni mitiche, che possono travalicare nello spazio e nel tempo gli eventi, alla esposizione cronologicamente lineare e dettagliata dei logografi e alla ricerca degli aspetti della realtà attraverso l’esposizione di luoghi e azioni.
E così che si costruiscono anche le basi della storiografia a partire da Erodoto. E’ sempre sorprendente poter rilevare come nell’attività di scrittura, e specificamente di narrazione degli eventi storici, due scrittori non molto lontani nel tempo e nel luogo di vita possano poi imboccare vie diverse approdando comunque a risultati simili nell’eccellenza, quasi opposti nell’atteggiamento. Sia Erodoto creatore della ricerca storica, sia Tucidide autore della storiografia scientifico-politica operano nell’Atene democratica, a ridosso più o meno della crisi della democrazia nella guerra del Peloponneso e ambedue scrivono in fondo non per auto contemplazione ma per parlare agli uomini della loro città e del loro tempo. Erodoto mutuando e rinnovando la tradizione epica del cleos per tramandare le imprese gloriose degli uomini e conservarle attraverso la memoria, Tucidide per costituire, attraverso l’analisi razionale dei meccanismi delle azioni e degli eventi umani, uno ktema perenne, cioè un acquisto di conoscenze che metta in grado di utilizzare quelle acquisite per difendersi dalle opposizioni degli avversari e del destino. A ben considerare, appare in fondo in queste intenzioni la similarità di un brivido più o meno avvertito di fronte ai rischi e alle inquietudini di quella splendida invenzione che era stata la democrazia ateniese. Un intento quindi, in ambedue, per la collettività umana. Tuttavia con due atteggiamenti diversi: se in Erodoto possiamo notare un umanesimo quasi gioioso che si dilata a tutte le manifestazioni di luoghi e tempi diversi delle infinite attività umane, in Tucidide appare subito, già dall’incisiva corrosività critica del proemio, una concentrata selettività del terreno di indagine riservato all’acquisizione e alla gestione del potere politico in un atteggiamento di difesa certo più pessimistico sui comportamenti umani.
Viene allora alla mente il fatto che anche il nostro tempo è fitto di parole con un’ampiezza determinata dalla disponibilità dei mezzi telematici e anche dal consolidarsi, pur tra illusioni e ambiguità, di una partecipazione che corrode positivamente il muro dell’afasia popolare. E’ anche vero però che la terra delle parole del nostro tempo è sempre più inquinata, con una sottrazione sempre più evidente di autenticità e limpidezza, da interessi di potere e ossessioni di spettacolarità. Compito civico di ognuno di noi nel parlare e nell’ascoltare può essere allora quello di restituire la verginità del pensiero e del sentimento veri a questo fiume di parole che percorre il nostro spazio terreno .