Un ricordo del ginnasio, anni ’60.
Il professor Lombardo entrava con la sua cartellina di fogli ciclostilati da lui stesso compilati ed arrivavano le temute versioni di greco. E vai col Rocci (o con il Georges-Calonghi-Badellino per il latino). Eravamo talmente abituati ad usare i vocabolari, che capitava di cercare un termine e di aprire la pagina giusta al primo colpo.
Ultimamente ho riletto un po’ della Guerra del Peloponneso di Tucidide ed il celebre discorso di Pericle, con i suoi trabocchetti dialettici, compilato forse dallo storico medesimo: «Kίνησις γὰρ αὕτη μεγίστη δὴ τοῖς Ἕλλησιν ἐγένετο καὶ μέρει τινὶ τῶν βαρβάρων, ὡς δὲ εἰπεῖν καὶ ἐπὶ πλεῖστον ἀνθρώπων.» («Certo questo è stato il più grande sommovimento che sia mai avvenuto fra i Greci e per una parte dei barbari e, per così dire, anche per la maggior parte degli uomini.»). Tucidide, con i suoi ragionamenti ed il suo argomentare non semplice, veniva ritenuto da noi studenti uno storico “difficile” (da tradurre), al contrario di Erodoto o Senofonte, ritenuti “facili”. Una dicotomia che si ripeteva anche in latino, con il “facile” Livio ed il “complesso” Tacito. Non parliamo poi dei quasi incomprensibili (per noi) Plauto o Luciano di Samosata, con i suoi Seleniti ed i suoi Dialoghi ben noti a Leopardi.
Al Ginnasio circolavano tragiche leggende metropolitane (come direbbe quel genio di Paolo Villaggio): la Gadaleta (o la Crico, o la Del Palazzo) ha dato una versione di greco che solo L.L. è riuscita a tradurre per intero. In classe nostra c’era uno “spaccio” di copie, preziosi manoscritti talvolta introvabili, che neanche a Rogoredo. Il professore, al fine di stroncare il fenomeno, ebbe un giorno la clamorosa idea di dare una versione a testa, l’una diversa dall’altra. Panico totale e, il giorno dopo, il fatale annuncio del docente: “Ho deciso di annullare il compito di greco”. Mannaggia che tempi.
E gli scioperi? Ricordate gli scioperi? Ad ottobre scattava la ricerca di un motivo per farsi un paio di giorni di vacanza. Cuba per esempio, con la Baia dei porci e la crisi dei missili con relativo blocco navale. Se proprio una ragione non si trovava, c’era sempre qualche bomba sotto un traliccio dell’Alto Adige o Südtirol. I marines americani ed i bombaroli filoaustriaci tremavano al pensiero che noi sfilavamo per questo. Era consuetudine infatti, dopo il primo giorno di semplice esordio, sfilare per il Corso e… guardare le ragazze. Al primo segnale arrivavano i grandi, quelli di terza liceo che per noi erano dei totem, i quali ci ordinavano di scioperare. La prima volta noi, giustamente timorosi proprio come “ginnasiali”, stemmo lì a tentennare per decidere il da farsi. Poi, all’uscita del Vice preside professor Villani, ci demmo alla fuga, ma il “cacciatore” Villani ci beccò subito, davanti al Regina Margherita, e ci portò a scuola, praticamente per le orecchie. Qui, tutti riuniti, ci sorbimmo il pistolotto di un professore, immeritatamente citato come “educatore”, che sproloquiava in questa maniera, che cito testualmente: <Voi, i futuri costruttori di ponti, mescolarvi con la “feccia” dell’Istituto>. Scuola classista? Giudicate voi. L’Istituto era il Comi ed era qui che era iniziato lo sciopero. Io, ora per allora, chiedo scusa, per conto di quel signore, ai tantissimi miei amici che hanno frequentato quella scuola, ma i tempi, come ricordano quelli della mia generazione, erano purtroppo quelli. Il cambiamento doveva arrivare.
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