La Basilica celestiniana, caso esemplare di restauro
Ciò che colpisce dell’Aquila è la sovrapposizione degli stili architettonici. Un tessuto urbano medievale in cui si inseriscono facciate rinascimentali, strutture militari cinquecentesche, chiese e palazzi dal barocco esuberante, eleganti edifici settecenteschi ed ottocenteschi … Non c’è che dire. Una città dalla grande storia, ma dallo svolgimento non lineare. E quella pluralità di stili che rendono interessante la città, è proprio conseguenza dei terremoti e delle successive ricostruzioni.
È così. L’Aquila, città di terremoti, da secoli crolla e rinasce su sé stessa. Anche il terremoto del 6 aprile 2009, segnando una brusca interruzione nella linea evolutiva della città, ha posto i cittadini di fronte ad un dilemma vitale: soggiacere alla decadenza o avviare una rinascita nei termini di conservazione dell’identità e di rigore nei criteri di sicurezza. A distanza di 15 anni da quella tragica notte, possiamo dire che ciò che poteva condannare la città ad un declino inarrestabile, ha finito per
essere stimolo propulsore per una creazione nuova nella continuità.
In questa secolare storia di cadute e di resurrezioni, ancora una volta, dalla mole sconfinata dei ruderi è risorto, giorno dopo
giorno, quell’insieme di palazzi e chiese, di strade, piazze e scorci urbani, che va sotto il nome de L’Aquila.
Per cui, oggi siamo di fronte ad uno dei centri urbani più sicuri della penisola, dal punto di vista sismico. Ad una città dalla bellezza antica e, in qualche modo, nuova. Un centro storico che torna ad essere meta dei turisti ed abitato dagli aquilani. I quali, costretti, per quindici anni, a vivere in quartieri insignificanti, hanno riscoperto l’emozione di una città di antica nobiltà, fatta di pietre, di piazze, di vicoli, di archi, di selciato di ciottoli, di botteghe.
Ancora una volta, è avvenuto il miracolo. Come dopo ogni distruzione sismica: 1461, 1703, 2009. Nella ricostruzione del 1703, furono cambiati i colori dello stemma cittadino, da bianco e rosso, in nero e verde, quali simboli di lutto e di speranza. Questa volta, invece, resterà nella memoria una data emblematica: il 20 dicembre 2017, giorno in cui la Basilica di Santa Maria di Collemaggio è stata restituita a L’Aquila ed al mondo, nell’imponente splendore dell’architettura recuperata. Come ha osservato il sindaco Pierluigi Biondi, la città ha riconquistato, quel giorno, non solo un luogo identitario, testimonianza di un grande passato, ma anche fiducia nel futuro.
La riapertura della basilica di Collemaggio rappresenta un evento di grande portata simbolica ed emotiva. La folla che il 20 dicembre 2017 ha invaso la navata, ha avvertito, con emozione, “un ‘novum’ estetico, frutto di un intervento competente e pregevole, che ha gettato una luce inedita su una bellezza che, nel corso dei secoli, era rimasta in parte coperta” (Giuseppe Petrocchi, arcivescovo de L’Aquila). Il restauro della basilica costituisce, al dire del sindaco Biondi, “un miracolo tutto italiano”, un brillante esempio di sperimentazione e collaborazione fra istituzioni diverse: gli specialisti dell’Eni con gli esperti dell’Ateneo aquilano, del politecnico di Milano e della Sapienza di Roma, la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici dell’Abruzzo che ha coordinato i lavori, i Vigili del Fuoco d’Abruzzo … La ricostruzione della Basilica, conclusa, in
tempi record, in due anni, è stata finanziata per intero dall’Eni che ha messo a disposizione la propria capacità di gestione di grandi progetti, complessi e articolati. E l’Eni afferma di aver scelto Collemaggio, quale emblema d’identità territoriale e perché opera d’arte straordinaria, conosciuta in tutto il mondo.
A poche settimane dalla riapertura, un importante portale di viaggi inseriva l’Aquila tra le mete privilegiate per l’opportunità di visitare la basilica restaurata. Mentre, l’Aquila e il suo territorio, secondo l’indagine di ‘Italia Oggi’, guadagnavano 24 posizioni in un solo anno, collocandosi davanti a importanti città metropolitane, in quanto la ricostruzione post sisma ha dato molta importanza alla qualità della vita. E’ stato constatato, infatti, che la riapertura di Collemaggio ha posto al centro dell’attenzione mediatica, L’Aquila e la sua Basilica principale. L’Aquila, in quanto – afferma Silvia Costa, Presidente della Commissione del Parlamento Europeo – costituisce “un caso unico in Europa di ricostruzione post sisma di un’intera città d’arte”. Collemaggio, perché la sua ricostruzione – come afferma ‘European Heritage Award/Europa nostra’ che ha conferito, nel maggio 2020, alla città abruzzese il prestigioso Premio Europeo del Patrimonio – rappresenta il caso esemplare di restauro di un monumento antico, il “paradigma di buona pratica da seguire nella conservazione di siti gravemente danneggiati in tutto il mondo”.
La Basilica ‘ritrovata’ è poi diventata l’immagine chiave nel Meeting ‘Unesco Creative Cities’, svoltosi a Fabriano nel giugno 2019. Un convegno dedicato alla resilienza di città investite da tragedie e catastrofi, come Palmira, Aleppo, Haiti, Mosul, Kobe. Ed a settembre di quell’anno, a Ferrara, nell’ambito di un convegno promosso dalla Scuola dei Beni e delle Attività Culturali, l’esperienza del restauro di Collemaggio è stata messa a confronto con la ricostruzione della Cappella della Santa Sindone, a Torino, e con quella della Basilica di Notre Dame, a Parigi, entrambe devastate dalle fiamme. È per questo che, nel novembre del 2020, la Basilica di Collemaggio ha ricevuto il Grand Prix, che la consacra unica eccellenza europea nella
conservazione dei monumenti.
L’emozionante storia del restauro della Basilica di Collemaggio, e l’apprezzamento unanime che si è levato, ad ondate crescenti, da più parti, è raccontato, oggi, dai protagonisti che l’hanno vissuto, in un ponderoso volume illustrato, che ha visto la luce in questi giorni, ad opera dell’Associazione ‘Festa della Perdonanza Celestiniana’: “Santa Maria di Collemaggio – La Basilica del Perdono”.