Quando sento Papa Francesco parlare di clericalismo non possono non pensare a Charles Péguy (Orléans, 1873- Villeroy 1914), cattolico, poi agnostico poi ancora cattolico, intellettuale, poeta libero da condizionamenti. Benché non sia tra gli autori più citati, egli ha dato alla cultura del Novecento e in specie al personalismo degli anni Trenta un contributo originale e fecondo. Colpiscono le sue molteplici polarità: la povertà del periodo orleanese e la maturità parigina, il mai rinnegato socialismo e la lotta contro l’ideologia partitica, il dreyfusismo e il patriottismo, la fedeltà di sposo e l’amore profondo per Blanche Raphaël, le forti amicizie e le pungenti polemiche, l’assoluto rispetto del reale “carnale” e la costante ricerca dell’“anima”.
Noto come anticlericale, prima e dopo il suo ritorno alla fede (1908), Péguy accentua la sua posizione sposando Charlotte Baudouin, figlia di una importante famiglia ebrea parigina, decisamente anticlericale. Quando si presenta una grave malattia del figlio Pierre, Charles decide di fare un pellegrinaggio a Chartres (dove oggi ancora vanno gli studenti a Pentecoste), camminando a piedi per 144 km per chiedere la Grazia della guarigione alla Vergine. Scrive: “La fede riabbracciata senza tentennamenti scava un fossato con Charlotte e rende drammatico il clima familiare già minato dalle differenze di cultura, di classe e da disavventure economiche.” La richiesta di Charles di battezzare i figli è per Charlotte insopportabile. In condizioni di disagio e conflittualità coniugale, Péguy deve affrontare la sfida dell’innamoramento per Blanche Raphaël, sorella di uno dei suoi collaboratori. Subisce un misterioso sconvolgimento affettivo, sofferto, incontrastabile, custodito nel segreto. Péguy tiene a freno i suoi sentimenti perché non ha intenzione di rinnegare l’impegno di marito; sa di dovere rispetto e fedeltà alla moglie nonostante tutto. Blanche a sua volta sa restare nell’ombra, senza invadere, benché consapevole probabilmente di contribuire a rendere sopportabile la vita di Charles.
La lotta per la fede non è meno dura: Péguy desidera ardentemente di essere reinserito a pieno titolo nella Chiesa e ricevere i sacramenti che invece gli sono negati a causa del matrimonio civile e dei figli non battezzati. La sua volontà di non rompere con l’ambiente socialista agnostico, la ferma determinazione di non forzare Charlotte al battesimo e di non tradirla (“chi ha amato non può disamare”) lo frenano e lo allontanano dal mondo cattolico più accreditato.
Nella sua solitudine esistenziale, privo del conforto dei sacramenti, Péguy si aggrappa alla Vergine alla quale chiede la forza di resistere e non cedere al richiamo del cuore che promette gioie grandi e – Péguy lo intuisce bene – illusorie:
“…Abbiamo battuto strade così lontane
Non abbiamo più gusto per terre straniere.
Regina dei confessori, delle vergini e degli angeli
Eccoci tornati ai nostri primi villaggi.
Ce ne han dette tante, o Regina degli apostoli,
Abbiamo perso il gusto per i discorsi
Non abbiamo più altari se non i vostri
Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice […]
Ciò che dappertutto altrove sarebbe un duro sforzo
Qui non è che semplicità e quiete;
Ciò che dappertutto è la scorza rugosa
Qui non è che la linfa e le lacrime del tralcio.”
Sperando di ottenere l’abbraccio della Chiesa, Péguy dà mandato all’amico Maritain perché lo aiuti a “ristabilire definitivamente… la mia comunione spirituale” facendo da intermediario con Louis Baillet, amico e compagno di studi divenuto prete ed entrato nell’abbazia benedettina di Solesmes (1902). Maritain vorrebbe riportare la pecorella smarrita nell’ovile e accetta l’incarico e affronta il viaggio fiducioso di poter contribuire a sanare la situazione. A parte l’amicale comprensione però, la risposta che ottiene è una pura riaffermazione della dottrina senza se e ma: se Pèguy vuole rientrare nella Chiesa deve regolarizzare il suo matrimonio con il sacramento e fare battezzare i figli. Maritain si allinea, ma per Péguy si tratta di una batosta. Dopo altri vani tentativi, decide di ritirare l’incarico e rompere con gli amici cattolici più ortodossi, accreditato che hanno proprio in Maritain il rappresentante più eccellente.
Ormai Péguy è etichettato e i pesanti giudizi che lo feriscono scavano un fossato difficilmente colmabile. La fede non si spegne affatto. Anche se non entra in chiesa se non prima della Messa, senza assistervi, confida a Joseph Lotte (settembre 1912): «Io vivo senza sacramenti. E’ una sfida. Ma ho dei tesori della grazia, una sovrabbondanza di grazia inconcepibile. Io obbedisco alle indicazioni. Non bisogna mai resisterle»2.
Egli è soffocato dai contrasti tra il richiamo della Chiesa e il ‘non possumus’, tra i doveri verso la famiglia e l’amore per Blanche, tra il richiamo degli amici e l’irruenza di un temperamento che non sopporta ipocrisie né il sistema dogmatico, strutturato e invasivo delle istituzioni del sistema ecclesiale. Accusa il “partito dei devoti”, a suo avviso responsabile della scristianizzazione del mondo occidentale proprio perché attaccato alla lettera e scrupoloso nel conformarsi alle verità teologiche, all’epoca essenzialmente tomiste, tanto da soffocare le incubazioni della Grazia muovendosi con piedi di elefante nel mondo a dello Spirito. Al paragone gli pare nobile la figura tipo del vero padre di famiglia che porta i pesi di ogni giorno e vive in ‘parrocchie invisibili’. Ai difensori della ‘verità’ contrappone la sua fiducia nella Vergine: «Darei tutta la Summa per l’Ave Maria e la Salve Regina. Non si raggiunge la certezza attraverso i ragionamenti (..) Il vostro tomismo è un algebra in cui non trovo niente per la mia anima. E’ un pensiero morto, l’indurimento delle arterie, la sclerosi del cattolicesimo».
La sua denuncia è tagliente:
« Poichè essi non hanno la forza (e la grazia) di essere della natura, credono di essere la Grazia.
Poichè non hanno il coraggio nel temporale, credono di essere nell’eterno.
Poichè non hanno il coraggio di essere del mondo credono di essere di Dio.
Poichè non hanno il coraggio di essere di uno dei partiti degli uomini, credono che sono del partito di Dio.
Poiché non sono uomini, credono di essere déi.
Poichè non amano nessuno, credono di amare Dio».
Il rapporto interiore con Maria resterà l’ancora della sua fede sino all’ultimo giorno prima di morire, quando andrà in una cappellina vicina al fronte e offrirà dei fiori.
Aveva scritto: «Quando avremo recitato la nostra ultima parte,/
quando avremo deposto cappa e mantello,/
quando avremo gettato maschera e coltello,/
ricorda il nostro lungo peregrinare./
Quando ci caleranno nella fossa/
e ci avranno offerto assoluzione e messa,/
ricorda, o Regina di ogni promessa,/
il nostro lungo cammino, il nostro peregrinare…».
Ha solo 41 anni, quando a Villeroy prima dell’offensiva francese della Marna muore in combattimento, con una pallottola nella fronte, in piedi, mentre incitava all’assalto. Era il tardo pomeriggio del 5 settembre 1914. Lo ritrovano in un campo di barbabietole.
1 Per un approfondimento, rimando a : A. Danese-G.P. Di Nnicola, Il buio sconfitto. Cinque relazioni speciali tra eros e amicizia spirituale, Effatà, Torino 2016.
2 Ch. Péguy, Lettres et entretiens, Cahiers de la Quinzaine, cit., p. 156-157.