Nello splendido film di Fellini, I Vitelloni, il vanesio e donnaiolo Fausto, reo di aver tradito la moglie, viene ferocemente picchiato dal padre con la cinghia dei pantaloni, all’epoca strumento molto usato, perché metta finalmente la testa a posto. La scena si conclude con la coppia pacificata che se ne torna a casa e, incredibilmente, Fausto saluta il padre abbracciandolo, senza nessun rancore per il trattamento ricevuto ma anzi, disposto a riconoscere le proprie colpe. Si tratta di un comportamento assai comune negli anni ’50, quando per educare non si andava troppo per il sottile, ma che appare completamente assurdo nel nostro tempo : oggi, nella stessa situazione, il figlio, sdegnato per l’ingerenza paterna, denuncerebbe il padre o, peggio, lo aggredirebbe a sua volta, e alla fine tutti, figlio, nuora e padre, in un’aula di tribunale, per chiarire i diritti e le colpe e mandare tutto in malora…
Sia chiaro che non ho nostalgia per la violenza come metodo educativo, ma è evidente che qualche decennio fa le relazioni
familiari erano meno complicate e si risolvevano quasi sempre in un ambito affettivo, privato, senza cause, avvocati e via dicendo. Magari era difficile conoscere e sanare le situazioni critiche, ma questo accade anche oggi, a dispetto di tutte le teorie, gli studi e le leggi a nostra disposizione per la difesa dei diritti. Il senso della giustizia è profondamente mutato, le leggi,le regole avvolgono come una ragnatela ogni minimo atto quotidiano, ma lo scopo finale, cioè la formazione di una società più equa e ordinata, è di là da venire, è un orizzonte che si sposta di continuo…i cavilli di Azzeccagarbugli sono acqua fresca rispetto alle tattiche giuridiche, ai rinvii, alle procedure burocratiche che oggi governano la giustizia.
E arriviamo così al punto critico : c’è bisogno degli avvocati per interpretare le leggi, cioè esse si prestano a diverse letture,più o meno giuste, perché la verità quasi mai appare con sufficiente chiarezza, e l’uomo, purtroppo, non è infallibile.
Oggi si discute molto sulla figura del giudice che, in linea teorica, dovrebbe essere imparziale, ma, in un mondo così mutato,
complicato, mi chiedo se ciò sia ancora possibile. Secondo la direttiva UE sui migranti, il trattenimento, cioè la privazione della libertà personale, può avere luogo soltanto ove sia necessario, sulla base di valutazioni fatte caso per caso. Bene, ma come si stabilisce lo stato di necessità? Quali elementi vengono valutati caso per caso, visto che essere clandestini non basta, e neppure, spesso, aver commesso dei reati?
Ahimè, non credo esista più il giudice super partes, capace di non farsi influenzare ,magari inconsapevolmente, dalle vicende sociali e politiche…i tempi di Giunio Bruto, che mandò a morte i suoi figli che avevano complottato contro Roma, sono inesorabilmente lontani, desueti, come lo sono i concetti di rigore, coerenza e soprattutto riservatezza, mezzi che senza dubbio sarebbero assai utili per tenere separate le opinioni personali dall’esercizio della professione.