No, non muori, capisci. Capisci che la Speranza se ne sta lì, chiusa al calduccio nel vaso di Pandora a godersi lo spettacolo dei suoi amici Mali che sciamano dovunque e nessuno (ma chi, poi?) li fermerà mai. La guida ti porta in giro per strade e palazzi, cappelle ricolme di statue, cripte ricolme di teschi, giardini e castelli, palazzi reali e teatri dai rossi velluti, via Toledo che è un fiume in piena di gente affamata di frolle, ricce e babà, quartieri spagnoli dove vedere un antico basso e comprare sigarette di contrabbando è roba da film, quasi Sofia Loren stesse ancora lì a sfornare pizze. No, quei vicoli sono il trionfo dei bancarellari e di Maradona, e tieni lo zaino davanti perché i cellulari costano.
Ma quella guida che tanto ama la sua città si è dimenticata qualcosa, e poi perderebbe il posto, e di questi tempi, si sa. Si è dimenticata di parole come camorra, malaffare, schiavismo dei nostri tempi. Per quella guida va tutto bene, i soldi girano, il turismo impazza, il pan non manca, sul ponte sventola bandiera bianca. La sua, quella in cima al bastoncino che guida il gregge, soprattutto quando attraversare la strada si configura come gesto suicida. Semafori? Pochi e capita che siano anche in conflitto tra loro, come all’incrocio di Castel dell’Ovo, dove uno dice alle macchine di passare e l’altro lo dice pure ai pedoni.
E quando sano e salvo sotto la canicola di Ottobre (ma qui Napoli non ha colpa, il disastro ambientale ci accomuna tutti in un abbraccio solidale, quando tagliavano alberi ombrosi potevano mai immaginare?) quando arrivi a Piazza Plebiscito sai che sei arrivato all’ultima bolgia e ti rassegni. Il cannone spara a mezzogiorno, tutti contenti, la vita continua, basta aspettare il miracolo di San Gennaro e fare un giretto dalle parti di Santa Maradona. E, mi raccomando, se volete andare a Pompei pregate la Madonna che ci sta apposta. La Circumvesuviana che il povero illuso sognatore aveva sempre creduto fosse un bel giro panoramico ai piedi dello sterminator Vesevo offre il meglio di Trenitalia.Traballi per quasi un’ora e se riesci a sederti ti sembra quando in palestra sali sulla macchina anticellulite, ti guardi intorno e dal grado di sporcizia e fatiscenza credi di aver sbagliato indirizzo con il centro rottamazione. Ma no, è lui, riesce a partire con quaranta minuti di ritardo, il capotreno che urla all’altro sulla banchina che traffica sotto una carrozza,“Vedi se funziona”, è rassicurante.
All’arrivo il cosiddetto treno vomita masse accaldate pronte a comprare panini nell’unico bar gelateria dentro gli scavi, e fatti una bella fila pure là. Ma quando finalmente torni in città hai il piacere di salire un numero infinito di scale mobili di una metropolitana super galattica, e allora perdoni tutto, non ti chiedi più né chi né perché, te la fai andare bene perché hai visto tesori inestimabili, dai Greci ai Romani, e giù giù fino a Vicerè, Aragonesi, Angioini, Bonaparte padre figlio e spirito santo (mica solo oggi teniamo famiglia!) fino ai gloriosi Borbone tanto deprecati eppure! Hanno lasciato memorie indelebili, tesori d’arte, hanno corazzato ben bene il loro popolo a sopportare di essere schiavo. Napoli o Spagna purchè se magna. Ecco, purchè se magna, e se se magna ai vertici perché non farlo pure in basso?
Ma Napoli ti divora, anche se sai come vanno le cose non riesci a togliere lo sguardo da quel mondo spettrale, un palcoscenico su cui si recita a soggetto lo spettacolo dell’orrore quotidiano, avvolgente, un cancro all’ultimo stadio che ti costringe a respirare ancora, a illuderti per un po’. E’ vero, il mare non bagna Napoli, diceva Anna Maria Ortese, che non tornò più. E neanche noi torneremo, come Odisseo abbiamo chiuso occhi e orecchie per non sentire il canto delle Sirene. La penseremo, con divertimento e tenerezza, e Pompei, smagliante, sarà sempre più lontana, imbalsamata come i suoi calchi.
- la foto è di Paola Di Giuseppe
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