Il tempo e il mondo di Dante così radicati dentro i i solchi delle tradizioni sacralizzate anche dalla verticalità della visione religiosa del mondo (peraltro efficacemente rappresentata dalla direzione architettonica dei monumenti religiosi verso l’alto) sono attraversati da innumerevoli e sostanziali contraddizioni e contrasti. La persistenza della concezione universalistica della realtà anche sostenuta culturalmente dal pensiero tomistico vive nel mondo del trecento e, specificamente, nel micromacroscopio della Firenze comunale anche nella parcellizzazione politica e sociale di spazi e istituzioni così frammentati da essere in lotta fra loro. Gli ideali di poteri universali come Impero e Papato, così totalizzanti da entrare a loro volta in competizione fronteggiano il particolarismo non solo dei comuni ma anche dei ceti sociali mentre la crisi del sistema feudale evolve nell’emersione del sistema sociale particolareggiato delle corporazioni. Nell’economia la ricchezza derivante dalla agricoltura, la cui scansione temporale misura ancora la divisione del tempo “in terza e nona“, è intaccata dalla prima finanziarizzazione dell’economia mentre continua ad agire nel senso comune il fascino delle virtù cortesi feudali.
In questo dinamico fluire di civiltà anche la vita e la personalità di Dante appaiono drammaticamente immerse. A partire dalla collocazione sociale di frontiera della condizione di vita tra modesta possibilità finanziaria della famiglia di origine e contatti con ceti elevati e i nuovi poteri dei ceti emergenti attraverso attività culturali e legami famigliari. Del resto nella sua formazione continuano ad agire i richiami della cultura antica e il fascino impellente del volgare e nelle vicende della vita la notorietà crescente per la fama delle sue opere dalla lirica, al Convivio e alla Commedia si misura con una fragilità sociale che gli permette sì l’approdo agli incarichi istituzionali fino alla nomina di priore, per interrompersi poi nella drammatica frattura dell’esilio, una lacerazione che lo separa violentemente dal suo mondo. L’esilio è, però, una frattura che attraverso i patimenti delle peregrinazioni e i precari contatti con varie istituzioni e signorie, anche attraversati da dubbi e incertezze nel rapporto con gli altri esuli, segnerà comunque il suo passaggio dall’orizzonte comunale alla visione universalizzante di cittadino del mondo.
E’ tutto questo frantumarsi e scontarsi di direzioni e sistemi a determinare anche la sua personalità di intellettuale così perennemente combattiva segnata dal contrasto tra la difficoltà pratiche nella marginalità dell’esilio e una visione sempre più elevata in senso etico della cultura che era in lui iniziata già con la Vita Nova e che poi approda con il Convivio e la Commedia quasi alla funzione suprema di guida civile? Non saprei dirlo con esattezza. Certo è che nella verticale civiltà del medioevo un uomo duro, roccioso e tempestoso quale era Dante butta dentro le sue Eepistole, dentro il Convivio, il De Monarchia il De vulgari eloquentia etc e soprattutto la Commedia tutta la terrestre realtà del suo passato e il suo futuro, chissà se non per contrastare e allontanare il presente
E forse é tutto questo spessore di vita, oltre che di pensiero, che può parlare anche nella identità diversa del nostro mondo ai mutamenti vari, lontani da quelli medievali e forse più larghi ma anche più nebbiosi del tempo presente. Anche nella civiltà attuale, certo, tanti scrittori hanno sondato e rappresentato una delle inquietudini profonde che sembrano travasarsi da un campo all’altro del nostro vivere. I declini travolgenti dei sistemi ideologici e culturali, spinti anche dalle nuove tecnologie, si impiantano ormai su una consapevolezza sempre più diffusa della relatività di ogni acquisizione umana e, tuttavia, continua ad esistere per l’uomo attuale il richiamo di quell’idea di totalità che nella storia dell’occidente ha affascinato per primi i pensatori della Grecia da Parmenide a Platone. L’Essere nella sua totalità capace di colmare tutti i vuoti e motivare tutti gli eventi continua ad attrarci inquietandoci di nostalgie culturali e psicologiche.
E’ pur vero che nella considerazione dei contesti appare evidente il fatto che Dante non può essere in toto un’espressione del nostro tempo. C’è nella sua figura e nel suo pensiero un’attualità ma c’è anche una lancinante inattualità. E’ innegabile il fatto che il suo mondo ha come supporto tutto un sistema filosofico e politico per noi lontano capace di produrre stabilità e anche staticità ma è merito precipuo della Commedia aver arricchito e animato la pienezza dell’Essere di innumerevoli individualità, di avere accalcato nel cerchio della visione religiosa una folla di passioni e sentimenti umani, brani di vita vera, presenze e relazioni vissute. Una pluralità di personaggi avvenimenti sentimenti che percorre con il pulsante ritmo del sangue il racconto del viaggio oltremondano: la dolcezza struggente di Pia, lo spirito beffardo di Ciacco, l’austerità combattiva di Farinata, la gloriosa solennità di Cacciaguida e anche la malinconia dell’esule, la passione perfino irosa dell’uomo di parte e l’incanto del poeta di fronte al plenilunio.
E’ vero anche che quasi tutte le opere dei veri poeti sono pieni di brani di vita, però forse solo nella Commedia e in poche simili questa ricchezza ha la compattezza lucida della Totalità e non è solo la presenza costante del poeta auctor e agens a determinare questo senso di completezza. Viene perciò alla mente la spia semantica che affiora negli ultimi versi: Ma già volgeva ’l mio disio e ’l velle, siccome rota ch’ igualmente è mossa, l’Amor, che muove ’l Sole e l’altre stelle.
E’ evidente allora la capacità di rappresentare in una sintesi folgorante, simultaneamente, individuo e universo, tempo ed eternità nella totalità senza scampo dell’Essere .