Come ormai usiamo fare da qualche anno a questa parte trascorriamo il 15 agosto a casa, nella calma domestica. Dopo uno sguardo veloce ai programmi tv della sera ho visto che avrebbero mandato in onda “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, che desideravo rivedere avendo terminato da poco di leggere il libro di Francesco Piccolo La bella confusione.
L’autore, che è anche uno sceneggiatore, racconta la genesi di due dei grandi capolavori del cinema italiano: Il Gattopardo, appunto e Otto e ½ di Federico Fellini. Il romanzo è ricchissimo di aneddoti, di nomi più e meno conosciuti; l’autore ci invita ad entrare nelle stanze private della storia del cinema e del nostro Paese dal ’54 al ’63 mediante documenti di repertorio, stralci di articoli, interviste, lettere e telegrammi. La scrittura è scorrevole, dinamica. Piccolo alterna momenti del presente e del passato, episodi pubblici e privati, suscita curiosità rendendo il libro piacevole, divertente e nello stesso tempo provocando domande di carattere sociale, politico su quegli anni e sulla contemporaneità. L’autore ha la capacità di indagare a fondo le personalità dei due maestri del cinema, evidenziando luci e ombre, il loro rapporto con il cinema, quanto entrambi vivessero all’interno delle loro opere, in una straordinaria operazione di identificazione con i protagonisti dei loro film: il principe di Salina per Visconti e Guido per Fellini. Non è un caso che Burt Lancaster, per immedesimarsi nel suo personaggio, osservasse e studiasse Visconti nella vita reale. Da qui in avanti sarà questo il modo di fare cinema di Visconti e di Fellini: il primo si concentrerà nella ricerca delle radici, il secondo in un’operazione di indagine interiore e dell’inconscio.
Si intreccia alle vicende narrate dei due registi, degli attori, degli sceneggiatori e dello stesso Francesco Piccolo anche la storia controversa e per alcuni versi misteriosa del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa, un eccentrico personaggio. Nel romanzo si racconta che accompagnò al concorso letterario del 1954 a San Pellegrino Terme il cugino, Lucio Piccolo, “esordiente” poeta. Il principe arrivato in albergo si accorge di aver portato solo un vecchio vestito consumato e con grande disinvoltura senza lasciar trasparire alcun imbarazzo “decide di indossare, in pieno luglio, un cappotto di cammello chiudendolo fino all’ultimo bottone […]” Così si reca con il cugino barone al concorso letterario.” (da: La bella confusione di F. Piccolo).
Le riprese de Il Gattopardo e Otto e ½ iniziarono contemporaneamente nel 1962 e curioso è il fatto che Claudia Cardinale lavorò in entrambi interpretando rispettivamente Angelica e Claudia. “Così Claudia riuscì a passare da un set all’altro, cambiando epoca, modo, e soprattutto colore di capelli. Ma non fu facile, perché non si trattava solo di due film importanti, e di due registi importanti. La questione era che Visconti e Fellini erano rivali, si detestavano apertamente, e non si parlavano ormai da otto anni.” (da: La bella confusione). Un altro breve aneddoto: dopo l’esperienza de Il Gattopardo la parrucchiera di scena si dimise e mai più avrebbe fatto questo lavoro!
La rivalità tra i due registi nasce alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1954: Senso di Visconti è un film d’epoca girato a colori, La Strada di Fellini una pellicola che narra la contemporaneità in bianco e nero. Il primo è sostenuto dalla critica italiana di quegli anni, prevalentemente marxista e che palesa giudizi del tutto negativi per La Strada accusando Fellini di aver tradito il neorealismo italiano e bollandolo come un film spiritualista, tanto più che fu accolto positivamente dalla critica cattolica. Scrive Edgar Morin nel suo libro Sul cinema. Un’arte della complessità: “(Fellini) al contrario, ha cercato di aprire l’Aldilà cattolico sull’infinito. […] in La Strada (1954) aveva saputo aprire la redenzione cristiana alla morale universale del sacrificio. […] Si sa che il problema di Gelsomina è quello di “essere inutile”, e ci ricordiamo bene della sua gioia quando “il folle” le rivela che anche un sasso serve a qualcosa. Gelsomina prova a se stessa e all’universo la propria “utilità” votandosi a un bruto che, alla fine, avrà il cuore riscaldato da questa fonte di amore”, un amore disinteressato, totalmente gratuito. Gelsomina ci richiama alla mente Severina di Silone e la sua speranza “Chi ama non può disperare”
Ma torniamo allo scontro dei due registi. Visconti, che già anticipa in Senso, la sua tensione verso l’estetizzazione, viene difeso con determinazione dalla critica di sinistra, “perché uno dei nostri”, che spinge compatta il film certa della vittoria del Leone d’Oro. “Di Senso importa meno che sia un film molto bello, importa di più che diventi una bandiera politica e culturale”. (da: La bella confusione)
La Strada parte dunque sfavorito ma incassa il grande favore del pubblico dopo la proiezione del film in sala. In breve: quell’anno il Leone d’Oro viene assegnato al film di Castellani Giulietta e Romeo. La Strada di Fellini vince il Leone d’Argento a parimerito con i registi Akira Kurosawa, Elia Kazan e Mizogushi. Si scatenano pesanti contestazioni durante la consegna dei premi da parte dei sostenitori di Visconti, in capo a tutti Franco Zeffirelli, che sfociano in una vera e propria rissa in sala: “nasce la divisione tra viscontiani e felliniani; nasce la divisione tra Visconti e Fellini. Si palesa una rivalità che durerà molti anni.” (da: La bella confusione). Maggiore il successo che riscuoterà La Strada, maggiore la netta polemica dalla sinistra, “il test definitivo dell’incapacità e dell’ottusità raggiunta dalla critica di sinistra verso la metà degli anni Cinquanta […]. L’idea che tutto ciò che ho amato nella mia vita, nel cinema e nella letteratura, sia stato sottoposto a questo scempio ideologico, non mi fa indignare, mi fa soffrire.”, afferma lo scrittore. Occorre precisare che anche i cattolici si impadronirono de La Strada facendone la loro bandiera. L’arte, il genio di questi due giganti furono dunque fagocitati dalle questioni ideologiche. “D’altronde, più le discipline si avvicinano ai contesti sociali, più si riempiono di ideologia” (E. Morin, Sul cinema. Un’arte della complessità). Il cinema racconta chi siamo, la nostra quotidianità, i nostri sogni: “La sua magia risponde così bene alla magia del quotidiano. […] Il cinema è nella vita quotidiana. Gli ingressi dei cinema si trovano fra i negozi. È alla vita quotidiana che il cinema si rivolge. L’antropo-sociologia della vita quotidiana è inconcepibile senza un’antro-sociologia del cinema” (E. Morin, Sul cinema. Un’arte della complessità).
E arriviamo ad una felice sorpresa: nelle pagine di La bella confusione incontro Ignazio Silone! Lui che ha vissuto l’oppressione dell’appartenenza ideologica, scontando l’isolamento, la solitudine pur di non rinunciare alla libertà. “Avrei potuto difendermi. […] Avrei potuto persuaderli della mia assoluta indifferenza per i posti e le gerarchie. Avrei potuto; ma non volli. In un attimo ebbi la chiarissima percezione dell’inanità d’ogni furberia, tattica, attesa, compromesso. Dopo un mese, dopo due anni, mi sarei trovato da capo. Era meglio finirla una volta per sempre. Non dovevo lasciarmi sfuggire quella nuova, provvidenziale occasione, quell’”uscita di sicurezza” (Uscita di Sicurezza, Ignazio Silone).
Il libro fu pubblicato postumo. Tomasi morì a Roma il 23 luglio 1957 pochi giorni dopo aver appreso che anche la Casa Editrice Einaudi si era rifiutata di pubblicare il suo libro. Dopo diverse vicissitudini il manoscritto arriva nelle mani di Elena Croce, figlia di Benedetto Croce, che prima lo perde, poi lo ritrova e lo propone a Feltrinelli. Giangiacomo Feltrinelli, editore coraggioso e imprevedibile ma evidentemente libero, decide di pubblicarlo nel 1958. Il libro vince il Premio Strega causando un grande sconquasso. I malumori della sinistra crebbero a dismisura con il crescere delle vendite del libro, considerato reazionario tanto che alla vigilia del Premio Strega Mario Alicata, critico letterario e responsabile della Commissione Culturale del PCI fece ufficialmente sapere che la candidatura del libro non sarebbe stata gradita a Botteghe Oscure. La posizione del partito resta molto netta e risolutiva finché Louis Aragon un intellettuale di spicco della sinistra marxista francese afferma esattamente il contrario rispetto a quello che dicono in Italia su Il Gattopardo. L’autorevolezza di Aragon lascia zittita la critica della sinistra italiana che, Togliatti in primis, dovrà prendere imbarazzanti provvedimenti, per risolvere la questione con il minore dei danni possibili.
Vorrei solo aggiungere poche righe per Claudia Cardinale. Sin dagli esordi ebbe un approccio professionale al lavoro; dal libro di Francesco Piccolo si comprende e si ha conferma che oggi è una donna capace di vivere i suoi 85 anni, il presente senza sentire il bisogno di rifugiarsi nella nostalgia di quei tempi, consapevole di essere un mito per il cinema italiano e internazionale, della sua epica, dei suoi successi, della sua straordinaria bellezza. Claudia Cardinale non rincorre il suo passato nell’illusione di fermare il tempo, neanche quello biologico: fa dei segni visibili la sua forza di donna, che sa gustare e vivere il presente. La sua professionalità e il suo saper vivere pienamente ogni tempo della sua vita ritengo che siano oggi una riservata scelta rivoluzionaria, un atto di autentica libertà.
In questi anni raccontati nel romanzo di Piccolo sembra che tutto ciò che si voleva cambiare, mancò di raggiungere lo scopo, mancò, credo, una maturità democratica, mancò l’onestà intellettuale che avrebbe smarcato definitivamente la politica, i politici e gli intellettuali di quel periodo storico, da ciò che combattevano e a cui giustamente reagivano: anni di regime fascista. E ancora oggi al nostro Paese necessita fare memoria e imparare costantemente dalla storia, anche da queste storie, per un cambiamento che sia reale. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo) ma noi non possiamo più permetterci di volere che tutto rimanga com’è, per noi e le future generazioni.
“Perché ti sei allontanato dalla vita di partito? La lotta per il potere non m’interessa. […] I partiti però sono anche portatori di idee. Sì, ma un’idea adottata da un’istituzione diventa facilmente ideologia e i suoi fautori, propagandisti. Che ne pensi dell’impegno degli intellettuali? Lo ritengo degno di rispetto se corrisponde a una vocazione personale; abietto o commiserevole, secondo i casi, quando comporta la subordinazione a un apparato. […] Credi che l’uomo sia libero? Penso che l’uomo possa essere libero. E anche responsabile dei propri atti? Certo, nella misura in cui è libero” (I. Silone, Confiteor)