Per le donne il silenzio non è stato quasi mai una scelta di libertà e di affermazione lungo i tortuosi sentieri della storia, ma si è quasi inevitabilmente accompagnato con la privazione della parola. Eppure della donna, attraverso la letteratura e l’arte, la società umana ha parlato molto nei secoli ma quasi sempre con le voci di uomini (poeti, pittori, musicisti) per i quali le donne sono state sempre oggetto del proprio discorrere e spesso del discorrere di sè, frequentemente con deformazione del pensiero femminile, talvolta con mistificazione del proprio atteggiamento. Dea, peccatrice o santa, la donna nell’immaginario collettivo ha avuto intorno a sé, tra queste siepi di parole altrui costruitele attorno, la barriera del silenzio impostole con paternalismo protettivo, con mascherata paura della sua supposta irrazionalità, con atteggiamento di superiorità benevola o malevola. E sarebbe mistificatorio pensare che questo sia stato appagante per il genere femminile ma, come accade per le forze troppo a lungo compresse, spesso il desiderio di forare il muro di un silenzio costrittivo non ha trovato voci suadenti, parole piane ma il grido, il lamento, l’urlo di dolore o di gioia.
Come non ricordare che la poesia di un mondo civile come quello greco e che tuttavia recinge anche lo spazio quotidiano della donna nella chiusura del gineceo rappresenta la parola delle donne nelle grida scomposte delle baccanti? Grida quasi animalesche che lacerano, senza armonia ma con il sotterraneo dolore dell’esclusione da una serena vita sociale, la purezza della notte e la bellezza silenziosa del bosco in Le Baccanti del grande tragediografo Euripide. Una esclusione nel silenzio della solitudine domestica che trova la protesta razionale dell’acuta Medea, non a caso donna eccezionale, maga, nel momento in cui riesce a denunciare con le armi della ragione questa ingiusta privazione. E’ sempre il misogino (pare) Euripide così attento al fascino del “mistero-donna” a consegnarci la sua contestazione. Di quanti esseri al mondo hanno anima e mente, noi donne siamo le creature più infelici…(Medea vv230-31).
Lo stato di privazione non cambia molto neppure nella grande liberazione portata dal Cristianesimo, anzi dopo la trionfale scelta di una donna, Maria di Nazareth, come prima depositaria del progetto di salvezza, dopo le delicate attenzioni mostrate da Gesù verso le numerose donne che Lo incontrano, la Cananea, l’emorroissa, la fanciulla morta, Maria e Marta di Magdala ecc.., la Chiesa dei primi secoli torna a calare sulla donna il velo scuro del silenzio.
E’ San Paolo a dettarne con chiarezza i precetti nella lettera a Timoteo (Tm.2,11-14) : La donna apprenda in silenzio in piena sottomissione. Non permetto alla donna d’insegnare, né di dettare legge all’uomo ma di rimanere in silenzio…; oppure con una precettistica più concreta : Come in tutte le assemblee dei santi, le donne tacciano nelle assemblee : perché non è loro permesso di prendere la parola...E non si tratta solo di un parere individuale, dal momento che lo stesso Giovanni Crisostomo nell’omelia su Priscilla e Aquila ricorda che Priscilla ha potuto svolgere l’insegnamento solo in privato e perché mancava un insegnante maschio qualificato. Tutto questo, nonostante il culto per la Madonna, l’inserimento delle diaconesse nella Chiesa, le numerose sante che si susseguiranno nei secoli.
La parola per le donne nella Chiesa è stata possibile nel passato solo nell’ardore dello slancio mistico, altrimenti il silenzio ha avvolto il loro pensiero e i percorsi delle loro ragioni. E’consolante, comunque, poter notare che nel procedere del tempo con la Chiesa di San Giovanni XXIII e ora con quella di Papa Francesco si aprono coraggiosamente sempre più nuovi spazi alla voce delle donne. Se torniamo al passato della storia, possiamo notare che nel passaggio dall’antichità al medioevo si è stretto senza smagliature quell’ anello silenzioso per la donna che la studiosa Eva Cantarella chiama la Tacita Muta. Un anello che circonda anche la bellezza inaccessibile della donna dei trovatori, altera ma condannata all’afasia e spesso senza nome, senza quella definita soggettività che solo la parola può dare.
E tuttavia l’esigenza di sfuggire al deserto del silenzio continua a scorrere sotterranea, come un fiume carsico, nella storia delle donne. Superando le solitarie e spesso mimetizzate apparizioni della parola femminile nelle scarse poetesse rinascimentali, è alla fine del Rinascimento che tra XVI e XVII secolo nei salotti delle preziose si riapre uno dei pochi spazi per sfuggire, pur nella leggerezza della conversazione mondana, all’oscurità del silenzio imposto. Dopo le conquiste della coscienza dei diritti umani portate dall’ Illuminismo e calate nella realtà delle leggi dalle richieste delle donne rivoluzionarie in Francia, nell’ottocento si metterà in luce con sempre maggiore evidenza l’ingiustizia di una reclusione senza voce sociale nell’orizzonte ristretto del mondo domestico. Nello stesso tempo, l’unico modello di rivendicazione del diritto di uscire dall’afasia e dalla privazione dell’agire sociale appare quello maschile, cosicché anche donne affermate e critiche come George Sand riescono ad uscire dal silenzio solo tramite atteggiamenti androgini. Si cala così ancora una volta il coperchio della sopraffazione di un silenzio in qualche modo imposto e forzatamente accettato che crea dolori ai soggetti sopraffatti e carenze di umanità nelle potenzialità negate per tutto il genere umano.