di Domingos Dirceu Franco
L’autore è economista, focolarino brasiliano e cittadino italiano che vive ad Aleppo dal 2019 e ci racconta la situazione che si vive in Siria tra guerra e terremoto.
«Un antico racconto giudaico immagina che quando Dio creò il mondo assegnò dieci porzioni di bellezza a tutto il mondo riservandone nove alla Terra Santa e una sola al resto del mondo. Così fece anche per le dieci porzioni di sapienza. Quando giunse alle dieci misure del dolore non cambiò il computo e continuò ad offrire una sola misura di sofferenza al resto del mondo e ben nove alla Terra Santa», (citato in G. Ravasi, Terra Santa, Geografia dell’anima, San Paolo, 1988, p. 6).
Pur non essendo mai stato in Terra Santa, questo racconto mi ha sempre colpito per la sua verità che trascende le parole stesse e trova dimora nel quotidiano della gente che ancora oggi soffre molto in queste terre mediorientali. Avendo vissuto per nove anni in Giordania e da più di tre anni in Siria, riesco a cogliere il significato anche nascosto di queste parole che mi piace allargare all’intero Medio Oriente. Questo racconto mi fa pensare in primo luogo alla martoriata Siria, dopo i suoi 12 anni di guerra e adesso anche con il terremoto. Penso soprattutto alla realtà di dolore che qui si vive e che non può essere descritta, come neppure si possono descrivere e misurare i dolori di un popolo, specie se in guerra. Se guardo oltre, non posso non volgere lo sguardo alle migliaia di vittime del terremoto in Turchia, alle molte guerre in Africa, in Ucraina e in molte altre parti del mondo (alcune purtroppo dimenticate o ignorate).
Ecco quanto dice la gente in questi giorni: “Dopo la guerra e la carestia che viviamo già da anni in Siria, mancava solo il terremoto”. Con le scosse di terra dei giorni scorsi si è arrivati quasi al limite della sopportazione. In Siria il terremoto ha colpito in modo particolare le regioni di Aleppo, Latakkia, Hama e Idlib. Le fonti locali riferiscono che ad oggi, l’8 febbraio, circa 70 palazzi sono crollati in tutto il paese (35 solo ad Aleppo) e il numero delle vittime è molto grande, più di due mila morti. Nei due giorni successivi al terremoto la gente ha dormito per strada sotto la pioggia e il freddo, nelle macchine e nei pochi luoghi di accoglienza improvvisati. Si respira la paura per ritornare a casa dato che molti palazzi possono ancora crollare perché colpiti in parte durante la guerra. Da due giorni non si dorme qua per via delle molte scosse di assestamento che sono continuate fino ad oggi.
Il terremoto in Siria va collocato in un contesto più ampio: quello delle sanzioni internazionali che fanno peggiorare la situazione di soccorso e ricostruzione e nonché la drammatica situazione di povertà esistente già da anni. Provo a descrivere qualcosa sulla situazione umanitaria siriana prima del terremoto.
La situazione attuale in Siria è sempre più dura e la gente vive nella disperazione per via del freddo, della fame che aumenta e della mancanza di energia elettrica, di gasolio e di gas. Nella maggioranza delle città siriane l’energia elettrica è fornita solo poche ore al giorno (da una a quattro) e si patisce il duro freddo dell’inverno, senza potersi riscaldare. E d’estate, quando il caldo si fa insopportabile, non c’è acqua fresca da bere dato che il frigorifero serve solo come ripostiglio.
Oltre a ciò, i prezzi sono alle stelle (aumentati di circa 150-300% negli ultimi tre mesi e di circa 800% in un anno per molti prodotti). L’embargo imposto dall’occidente è terribile e chi paga il conto è il popolo. Nonostante la Siria sia ricca in risorse di petrolio e gas, oggi, per via dell’occupazione ancora presente nel paese, gran parte della produzione locale di petrolio viene rubata e deviata altrove. Negli ultimi due mesi il prezzo per litro di carburante è arrivato a costare circa il 20% di uno stipendio minimo siriano. È semplicemente disumano pensare che quanto un pensionato guadagna al mese è sufficiente per acquistare non più di 10 litri di benzina oppure 4 kg di carne. La scelta ovviamente su come spendere il poco che si guadagna è dettata dai fabbisogni di base per la sopravvivenza. La gente mi racconta che prima della guerra (nel 2010) si viveva molto bene in Siria. Ad Aleppo ad esempio, la gente andava ogni settimana al ristorante, aveva la macchina, la casa, il gas, poteva viaggiare e la benzina era economica. Il proprietario di un piccolo negozio di alimentari mi raccontava che alcune persone acquistano ad esempio soltanto un uovo oppure 100 grammi di caffè perché non possono permettersi di più.
Ecco quanto sovente sento dalla gente in questi giorni: “Qualcosa dovrà succedere. Siamo arrivati al limite della sopportazione!” Il 90% della popolazione infatti vive sotto la soglia di povertà con meno di due dollari al giorno. Quando sono arrivato ad Aleppo nel 2019, la tariffa media che pagavo per il trasporto per un tratto di circa 2-3 km era di 500 lire siriane. Oggi, lo stesso percorso costa 8.000 lire siriane. Un collega mi ha raccontato che una sua amica che è insegnante di francese in una scuola guadagna l’equivalente di 35 Euro al mese. La stessa cifra che lei spende per l’uso del generatore elettrico, per poter avere alcune ore di corrente al giorno. Come fa una persona a sopravvivere così e a coprire i suoi fabbisogni di base? Il popolo siriano è stato ferito nella sua dignità.
Anche se le zone abitate non vengono più colpite dai missili, la guerra continua e non si è mai fermata qui, anche se non se ne parla più. L’aeroporto di Damasco ad esempio è stato colpito varie volte negli ultimi mesi. Sento ogni giorno dalla gente che ora la situazione è molto peggiorata rispetto ai duri anni di combattimento armato: “Durante i duri conflitti armati – mi racconta un amico – avevamo la speranza che un giorno comunque la guerra sarebbe finita e avremmo ricominciato a vivere. Ora la speranza non c’è più e la causa è la dura guerra economica causata dagli embarghi disumani da parte dell’Occidente. Ci hanno tolto la dignità e rubato il futuro ai nostri figli”.
E ciò che rattrista ancor più la gente è che, a parte Papa Francesco che spesso ricorda la Siria, quasi nessuno parla più della situazione. Ci sentiamo dimenticati dal resto del mondo.
Capisco che le lacrime da versare sono molte in questi tempi di guerra, di pandemia e di molte calamità, ma l’indifferenza verso la sofferenza di un popolo come quello siriano è qualcosa che non può essere accettato. Chi vende le armi? Chi ha causato questa guerra? Queste domande che ha posto anche Papa Francesco in varie occasioni, non trovano ancora risposte coerenti.
Il Natale ad Aleppo è stato l’esperienza del vivere l’essenziale, in tutti i sensi. Nelle case delle famiglie che hanno festeggiato la nascita di Gesù, si è vissuto come fossimo nella grotta di Betlemme, come ha ribadito un parroco di Aleppo: “Un luogo freddo e buio dove i bambini soffrono e i genitori sono disperati perché si sentono impotenti”. E se penso ai giovani … quante sofferenze sperimentano a causa di un futuro che gli è strappato. Mi dicono così: “Voglio soltanto poter andare via”. Negli ultimi sei mesi circa 400 giovani di un piccolo villaggio cristiano sono scappati dal paese. Non si sa tuttavia quanti abbiano raggiunto la destinazione desiderata e questo solo il mare può testimoniarlo.
In questi tre anni da quando sono in Siria ho imparato ad apprezzare l’enorme capacità di questo popolo, che tanto amo e stimo, nel sopportare la dura situazione che ha dovuto subire per via della guerra, di una guerra sporca contro i civili (M. Zanzucchi, M. Toschi, Siria. Una guerra contro i civili, CNx, Roma 2018) e architettata da potenze straniere. Nonostante la dura situazione, ancorati in una fede solida in Dio, molti riescono ancora (e qui parlo della situazione prima del terremoto) a donare gioia attorno a loro, una specie di paradosso che l’Occidente e la società del benessere forse fatica a capire. I rapporti sociali qui sono caldi, la gente si aiuta a vicenda, le rapine sono poche o inesistenti, i figli sono formati con valori solidi e la solitudine trova poco spazio.
Le molte Chiese locali lavorano con grande impegno e con una crescente sinergia in modo da poter alleviare la sofferenza del popolo. Le chiese e le moschee hanno aperto le loro porte per accogliere la gente dopo il terremoto. La generosità e l’amore concreto di molti in Occidente che hanno un cuore largo ci aiutano a continuare a credere in un futuro migliore o a sopravvivere nel presente.
Oltre ad essere impegnato (con altri) in molte attività di formazione umana, spirituale e di accompagnamento ai giovani, lavoro nel campo della progettazione per programmi emergenziali e di sviluppo. L’anno scorso, tra le molte attività in campo educativo, sanitario ed emergenziale per anziani, famiglie, giovani, ragazzi e bambini portati avanti come Movimento dei Focolari (in modo particolare attraverso l’ONG Azione Per Mondo Unito Onlus – AMU), abbiamo potuto avviare 30 attività generatrici di reddito a Homs (distrutta per più del 60% durante la guerra) e stiamo concludendo in questo mese altri 20 nuovi progetti ad Aleppo. Si vivono forti esperienze nel provare a portare speranza alla gente attraverso il semplice fatto di ridare dignità per mezzo di un’attività lavorativa persa durante la guerra. Anche se di speranza, qui, non si può quasi parlare, la si può generare tramite azioni concrete di sostegno e di vicinanza a chi soffre ed è disperato. La speranza cristiana mi fa credere che verranno giorni migliori, anche se il contesto mostra il contrario; purtroppo il numero di chi crede ancora in un futuro migliore diminuisce di giorno in giorno.
Riprendendo il racconto giudaico, mi viene da aggiungere che “se è vero” che un’alta misura di sofferenza è “riservata” a queste terre martoriate da conflitti che si protraggono nei secoli, dovrà essere anche vero che Dio non abbandona i suoi figli nel dolore (e di questo sono testimone). Guardando al popolo siriano potrei affermare che l’altra “misura di sapienza” “riservata” a queste terre sono i frutti che sgorgano dalla prima misura di sofferenza che non è rifiutata dalla gente, ma viene vissuta in stretto rapporto con il Donatore di vera pace e di sapienza. La libertà umana usata per fini egoistici ha portato solo distruzione in queste terre bellissime in cui Dio stesso ha voluto incarnarsi.
Che Dio ci aiuti e che i potenti della terra possano riparare le ingiustizie e le sofferenze causate in questi anni e che questo terribile terremoto possa servire di allerta sull’urgenza di levare l’embargo sulla Siria. Se la situazione non migliora non so fino a quando il popolo saprà e potrà sopportare. Siamo arrivati al limite della sopportazione.
La foto in alto é dell’ autore dell’articolo, Domingos Dirceu Franco