Ritanna Armeni, Ponte alle Grazie, 2023
16 ottobre 1943, santa Margherita monaca e mistica. È sabato e la famiglia dell’anziano Riccardo inizia ad accendere le candele e ad apparecchiare per lo Shabbat. Nel suo animo non si sente tranquillo, tanti i segnali che facevano crescere la paura e un forte senso di pericolo. Negli ultimi anni la vita per gli ebrei era diventata sempre più difficile: leggi razziali, figli espulsi dalle scuole e sebbene Riccardo non voleva vedere il buio che incombeva, quella sera riflette e rimugina sulle parole di una delle suore maestre pie Filippine che gli confida di aver sentito dire che i tedeschi portavano via gli ebrei per mandarli a lavorare in Germania. Certo lui si sentiva anche piuttosto al sicuro nel Ghetto, a Roma “città aperta”, vicini al Vaticano, ma era ugualmente preoccupato che qualcosa di terribile stesse per accadere. All’improvviso un fragore, rumori, scoppi. Riccardo e la famiglia decidono di mettere insieme lo stretto necessario ed andare per una notte a chiedere accoglienza alle suore Filippine, del resto avevano una certa confidenza ed erano a due passi; avrebbero fatto ritorno a casa il mattino seguente, era solo questione di prudenza. Ma quella notte e il giorno successivo i suoni che udivano dal convento erano spaventosi: ordini impartiti violentemente, urla, colpi, pianti di donne, vecchi e bambini, camionette che passavano veloci. Era ormai chiaro che non sarebbero tornati a casa e che, così come altri ebrei nascosti in quel convento perfino nelle cantine, dovevano allontanarsi, senza dare nell’occhio, divisi in piccoli gruppi. Sono in sette, incluso un bambino che si stringe forte ad un uomo, quando, in una sera piovosa, suonano il campanello di un convento di periferia, quello delle suore francescane della Misericordia in via Poggio di Moiano. Nei loro volti sconvolti, stanchi, atterriti, solo paura e smarrimento.
Il libro incontrato per caso e letto per curiosità, narra la storia di uno dei tanti conventi che hanno accolto in quei mesi bui molti ebrei, spinti da nessun’altra motivazione se non quella della scelta di amore verso il prossimo. “Ed una scelta talmente naturale che, chi questo amore e questa carità li ha esercitati, non ha ritenuto opportuno raccontarne“. Lo ha fatto l’autrice, Ritanna Armeni, che scrive di questa storia con garbo, delicatezza, con un ritmo incalzante e coinvolgente, supportata dalle straordinarie ricerche storiche di Suor Grazia Loparco, da Suor Clara che le ha aperto le porte del convento delle Francescane di via Poggio di Moiano conducendola nelle stanze del “secondo piano”, dai preziosi consigli di Suor Rosa Lupoli e dalla testimonianza di Lello Dell’Ariccia, che allora era quel bambino di nome Lele nel libro e oggi un anziano signore, impegnato nella testimonianza degli avvenimenti di cui fu vittima.
Nella trama del libro si alternano le vicende della piccola comunità delle francescane con quelle della grande storia di quei mesi terribili. Ma la Storia la fanno i piccoli, l’ha fatta il calore con cui le suore seppero accogliere, confortare, amare, salvare da sicura morte un gruppo di sconosciuti che avevano bussato alla loro porta. Il loro sacrificio, la loro dedizione, ci restituiscono pagine alta di umanità, di bellezza, di fiducia, di speranza. Gestiscono con grande sapienza e con la mite audacia di chi non esita a mettersi in gioco fino in fondo la surreale situazione di ospitare al secondo piano gli ebrei sfuggiti per miracolo al rastrellamento del Ghetto e al piano terra un’infermeria tedesca: a separarli solo una scala.
Le rose del giardino che ornano la statua della Vergine, le preghiere delle suore, i canti natalizi che si mescolano con i riti dello Shabbat, le marmellate fatte con le ciliegie dell’orto, la merenda che ridà il sorriso al piccolo Lele, sono finestre aperte sulla speranza, luce che dalle quelle finestre chiuse del secondo piano non poteva penetrare dall’esterno. Non è facile per le sorelle far trovare un piatto in tavola per tutti quando mancano perfino un po’ di pane e farina, ma a volte anche una certa dose di astuzia gli permette di portare avanti la loro opera di carità sebbene accompagnata da sensi di colpa, paure e ansie.
“La volontà di Gesù mi è apparsa chiara. La carità è la nostra missione. L’accoglienza dei perseguitati è, per noi che ci siamo consacrate, l’unica strada da percorrere”- annota nel suo diario madre Ignazia.
Un superficiale pregiudizio sull’autrice mi induceva a pensare che avrei nuovamente letto le solite accuse rivolte alla Chiesa, che avrei incontrato una penna facile a polemiche. Mi sbagliavo. A volte sono proprio le persone che sembrano più lontane a farci riscoprire la Bellezza della Chiesa, a farci riflettere che il silenzio è opera mite ma coraggiosa, che sa tessere reti di salvezza, che esclude il ricorso alla violenza sulla violenza, che può anche sopportare il dolore di essere incompreso sapendo però che è salvezza per molti.
“Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.” Sal 119,105