Amarcord

di Biagio Massaccesi

Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello…Superfluo scrivere che questa è la celebre introduzione de La roba, forse la più conosciuta delle Novelle rusticane di Giovanni Verga, di cui nel 2022 si è ricordato il centenario dalla morte. Alzi la mano chi non ha dovuto farne il riassunto, alle Medie. Una gran fatica, specie per la sua lunghezza. Era tuttavia, a parer mio, un ottimo sistema, quello di riassumere, non solo per acquisire la capacità di comprendere quanto si legge, ma anche per sintetizzare, con la migliore lingua possibile, un intero scenario. Compito non semplice, d’accordo, ma indiscutibilmente proficuo.

E le poesie da mandare a memoria? Un mezzo incubo. Avevo – ed avrei ancora, se lo dovessi fare di nuovo – un’autonomia di fiato corto. Meno male che l’ora di Italiano veniva sempre per prima. Se così non fosse stato, chi gliela ripeteva al Professor Foglia, la stucchevole Il Cinque Maggio? Persino la meravigliosa Il Sabato del Villaggio non si faceva molto gradire sotto questo aspetto. Oggi non ricordo quasi nulla delle poesie imparate a memoria. Non ricorderei neanche M’illumino d’immenso che, ovvio, ho scoperto un po’ dopo. Scherzo naturalmente.

A proposito di brevità, ho letto ieri una paginetta di Umberto Eco, nella quale l’Autore racconta questo sul filo dell’ironia: C’è un giochetto che una volta mi hanno fatto, e che consiste nel chiedere di quale noto autore italiano del Novecento sia l’incipit “Turbata libertà degli incanti”. Le risposte sono varie (Ungaretti? Quasimodo? No, Cardarelli…) e alla fine si viene esposti alla tremenda rivelazione: si tratta del titolo di un articolo del Codice Rocco sulla turbativa d’asta. Non si tratta quindi dell’incanto cui poeticamente allude Carlo Delle Piane nel bellissimo Una gita scolastica di Pupi Avati, ma, molto prosaicamente, di vendite giudiziarie. 

Torniamo però al Verga ed al suo Mazzarò – quello che oggi definiremmo un “self-made man (Un uomo che si è fatto da solo)”, morbosamente attaccato alla “roba” – riportando la parte conclusiva della Novella: Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, con il mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: – Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che non ha niente!Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me!