Sarebbe di sicuro cosa migliore potersi riferire ad un’opera d’arte raggiungibile per un’osservazione diretta ma non sarà facile. Vedremo allora di scegliere in base a ciò che meglio si presta, nell’immenso panorama dell’arte figurativa, a farci parlare, anche soltanto un po’, intorno al punto essenziale della iniziale proposta che resta quello relativo a “come” guardare un quadro, dopo un breve accenno all’autore e paraggi.
Stiamo oggi per alzare gli occhi su Giorgio De Chirico, grande, grandissimo intellettuale del novecento, umanista e classicista profondo. La denominazione di “pittore metafisico” gli fu data dai filosofi tedeschi che frequentò nel suo lungo soggiorno di studi a Monaco. Essi vedevano nelle sue opere un’espressione psichica dell’inconscio da cui risultavano nuovi aspetti delle cose, tradotti in immagini surrealistiche che avevano tuttavia un chiaro richiamo all’ordine ed al classicismo.
Con ciò De Chirico non intendeva negare validità alle posizioni innovative dei pittori del suo tempo anzi la arricchiva di quella misticità classica che risvegliava curiosità formale e contenutistica unendo ai valori dell’arte moderna quelli dell’antica civiltà. La costante delle sue opere resta sempre “intellettiva” e non “ sensoriale” come quella di movimenti suoi contemporanei. Non dette luogo a “scuole” ma la sua personalità produsse indubbi riflessi sull’arte successiva.
Ettore e Andromaca è un soggetto caro a De Chirico e da lui dipinto più volte con varianti progressive. Per l’osservazione scegliamo la versione del 1917, anno riportato vicino alla firma sull’opera stessa, ove si fondono, a determinare l’espressione eloquentemente muta dei due manichini, idee filosofiche e letterarie di eroismo, di fedeltà e di ineluttabilità del destino.
Se ne devono osservare l’astrazione ed il contenuto simbolico, prevalenti di gran lunga sullo stile, che di fatto, almeno in una delle edizioni, muta. Ciò conduce all’osservazione che in realtà l’ispirazione artistica è il momento che fa trovare forma nuova ad un contenuto noto. Noto vuol dire che il soggetto di un’opera deve essere, in qualche modo, ravvisabile, deducibile dalla realtà da parte di chi osserva, a meno che non si tratti di astrattismo puro.
Il surrealismo, piuttosto che sostituire la realtà, la altera: ne esce, fra gli altri, l’opera indiscutibile del nostro autore o di un Marc Chagall, e non è poco.
In questo Ettore e Andromaca De Chirico ha un sorprendente equilibrio d’insieme. Non ci sono ostacoli espressivi estranei ai manichini che ne impediscano la fusione in una sola cosa ed essa, pur nella plasticità surreale, viene assunta dall’occhio come realistica.
Nella loro complessità, le due figure sembrano ossimoricamente montate come costruzioni per ragazzi. La leggiadrìa con cui tengono vicine le due teste senza volto sa di passione velata da un ritegno antico ed esprime sentimenti incrollabili.
Si noti ancora la disposizione spaziale: alle loro spalle una prospettiva di verde acceso apre alla speranza, forse quella della salvezza di Enea e della nascita di Roma.
Le qualità della prospettiva sono particolarmente evidenti quando vengono usate, oltreché per delimitare uno spazio, per ottenere particolari effetti. La luce chiara dei due volti muti dice, di lei, abbandono inconsapevole, ancora sereno, di lui, nel verdastro che adombra la metà del viso, quasi vergogna per il dolore che patirà la sua compagna, paura di un destino cui non spera di sottrarsi. Il rosso, presente in modo determinante e in molteplici sfumature, racconta di eroismo, di martirio, di amore e “…splende di una luce interna…raggiungendo una passione che arde indomita…” (Kandinsky)