di Mario Luzi
Di gennaio, di notte
quando lungo le sue vene
lo spazio
trepida per un vento
inesauribile, ravviva
negli alberi speranze
ancora vane
e li sveglia a una vita
ancora incerta,
troppo remota oltre le
cime
ed oltre le radici:
nei giorni incerti ai crocevia del tempo
nelle ore dopo la passione quando
anche il dolore ha fine
e l’anima si tiene appena
che non frani nel suo vuoto
e si chiede stupita più che ansiosa
s’è quella l’agonia ch’è in ogni inizio
o il termine, il termine di tutto,
e accade che qualcuno
per certezza, per afferrarsi a un segno
mormori il suo tra il nome dei suoi cari
ed è strano come murare lapidi
su case per memoria d’un passaggio,
d’una sosta nel transitare eterno,
viso di molto amata un tempo
che tra pagina e pagina del libro
sfogliato senza termine degli anni
hai la pace che dà l’essere fiochi
e spenti sotto la crudele patina
qualcuno soffia nelle tue fattezze,
t’eccita, ti richiama al mio tormento
quale fosti d’età in età, puerile,
puerile sotto nuvole di marzo,
giovinetta sgusciata da anni informi
tra infanzia e pubertà, donna nel vento.
Frattanto siamo divenuti grigi.
Esco, guardo addossato ai muri alti
la mia patria ventosa e montuosa,
prendo fiato, poi seguo la via crucis.