Juan Rof Carballo, Brescia 2021. Traduzione e introduzione di Nunzio Bombaci
J.R. Carballo è un autore poco conosciuto in Italia, che bene ha fatto lo studioso Nunzio Bombaci a presentare ai lettori traducendo e introducendo la sua opera principale: Violencia y ternura (I ed. 1967). La competenza di Bombaci circa gli autori della filosofia personalista e dialogica – specie Maria Zambrano, Martin Buber, E. Mounier – garantisce la capacità di introdurre il lettore nel pensiero di un autore che da filosofo e clinico si è dedicato ad approfondire la conoscenza del mondo emozionale dell’essere umano per meglio comprenderlo e curarlo. Occorre una competenza psicanalitica e della medicina psicosomatica – di cui Carballo è conoscitore e diffusore nei paesi di lingua spagnola – per affrontare tematiche mediche sulla base di una visione filosofica che inquadri le disfunzioni del corpo in una antropologia dalla prospettiva olistica, che sfugga alle trappole del biologismo, dello psicologismo, del sociologismo, dello spiritualismo.
Lo fa Carballo percorrendo i sentieri della medicina umanista e concentrandosi sull’urdimbre primaria, dunque quella originaria e originale relazione prenatale che va a costituire l’identità di ogni persona che viene al mondo e ne condiziona l’intera vita dal punto di vista del suo modo di affrontare il mondo, delle sue fragilità, della vulnerabilità affettiva oltre che delle problematiche del suo corpo e delle sue patologie. L’urdimbre è infatti decisivo nella formazione di un adulto maturo, in grado di affrontare le inevitabili crisi della vita, di far fronte alla violenza eventualmente subita e inflitta, di sviluppare l’attitudine alla cura.
Carballo – che si collega al pensiero medico umanista della tradizione spagnola costituita da ebrei, arabi e cristiani (L.P. Entralgo, G. Marañón) – ci guida nel mondo della filosofia della medicina appoggiandosi al neurologo e internista Viktor von Weizsaeker e avvalendosi delle conoscenze del pensiero dialogico tedesco, in specie M. Buber e F. Rosenzweig per avvalorare una medicina antropologicamente e dialogicamente fondata. Infatti Corballo va oltre le strettoie della scienza medica positivista e dei dati di laboratorio, impostandosi la diagnosi e la terapia sull’indispensabile colloquio interpersonale. È un invito ad addentrarsi, per quanto possibile, nella storia di vita e nelle problematiche della persona che si ha di fronte cercando di collocare la malattia che lo colpisce nel quadro delle ferite subite e mirando a restituirgli la dignità turbata. Il soggetto paziente, nell’interazione con medico visto piuttosto come compagno di viaggio, si trasforma da oggetto di studio a interlocutore attivo, capace via via di divenire protagonista del suo piano terapeutico.
Le neuroscienze sono indispensabili nel riscontrare le modificazioni dell’attività cerebrale in relazione alle emozioni, ai processi cognitivi e operativi e alle eventuali malattie psichiche, ma vanno inquadrate, unitamente alle scienze psicanalitiche, in una filosofia ermeneutica che tenga conto della interdisciplinarietà delle variabili intervenienti sulla sua condizione di malato. S’impone la necessità di conoscere e riconoscere l’importanza degli approcci scientifici sull’anatomia e sulla fisiologia del ‘cervello interno’ (sistema limbico) nel quale si combinano le memorie dei vissuti emozionali, ma la cura di un paziente non può limitarsi a verificare le condizioni fattuali legate al processo biochimico della malattia, sorvolando o sottovalutando la dimensione del vissuto emotivo, cognitivo, psicosociale e quegli orizzonti spirituali più spesso dimenticati che costituiscono intrinsecamente l’essere umano.
Il lettore coglie lo sguardo compenetrato e pietoso di Corballo sulla comune esposizione degli esseri umani esposti alla violenza, alla malattia e alla morte. Egli interpreta le tendenze aggressive in relazione a ferite relazionali che risalgono alla qualità dell’urdimbre – quasi un ‘secondo utero’ – che costituisce la trama che fin dai primi mesi di vita caratterizza e condiziona la storia di vita di ogni persona nei suoi rapporti con la natura, con gli altri e con la trascendenza. «Osservazioni di tutti i giorni nella clinica – scrive Carballo – ci mostrano come in questa trama primaria si tesse effettivamente, come indovinarono le antiche culture, il destino di ogni uomo» (p. 12).
Se l’urdimbre è gratificata dalle cure protettive materne ed é priva di lacune significative, l’essere umano è solido e riesce a far fronte a quella condizione che con la nascita lo espone all’abbandono inerme di fronte alla vita. E’ qui che si radica l’esperienza della violenza, ossia di quelle pulsioni aggressive presenti negli uomini come negli animali, ma che negli uomini possono presentarsi come mortali, cieche e gratuite: il male. L’urdimbre è decisiva nel combattere il male o al contrario nel perpetuare la violenza nelle sue varie forme, ostacolando la formazione di adulti capaci di affrontare le inevitabili crisi della vita. Il medico che ne tiene conto integra e supera di gran lunga l’efficacia delle competenze professionali specifiche, col prendersi cura della persona che assiste, alimentare il rispetto della creatività e della dignità che le competono e trasmetterle il suo stesso modello di cura. Nel percorso terapeutico un medico deve essere capace di individuare la violenza subita dal paziente e lavorare su più livelli, modulando opportunamente prossimità e distanza, ma sempre mantenendo un clima di empatia. Ogni competenza concorre alla guarigione se opera nell’orizzonte metarazionale che gli esseri umani percepiscono come amore nella sua declinazione di tenerezza, che è la valida alternativa alla violenza, in palese sintonia con la terapia proposta da E. Mounier alle crisi del Novecento.
Le competenze mediche, psicanalitiche e filosofiche di Carballo non danno luogo ad una scrittura criptica; il lettore può scorrere agilmente le pagine del libro che presentiamo e avvantaggiarsi della validità delle sue tesi. Può forse, talvolta, apparire sottodimensionata la capacità reattiva e creativa di risposte alternative alla violenza del vissuto, come pure il ruolo che possono avere le ideologie nel promuovere in forma latente o patente la violenza di matrice politica, antropologia e religiosa. Bisogna riconoscere tuttavia che la prospettiva di Corballo non annega nel pessimismo tragico, giacché, come scrive Bombaci: «Soltanto chi crede che la violenza non sia uno stigma ontologico dell’uomo, bensì la reazione a condizioni di vita sfavorevoli, può davvero sperare che questo essere sia capace di governare in futuro le potenze distruttive escogitate da lui stesso» (p. 15).
Giulia Paola Di Nicola