E’ indubitabile il carattere argomentativo e in qualche modo filosofico di questo carme che espone i valori esistenziali e sociali del Foscolo. Lo si nota non soltanto nei concetti espressi ma anche nella struttura stilistica del discorso che procede per blocchi di idee e per connessioni numerose articolate con sapiente attenzione sintattica, non bisogna dimenticare, però, che comunque il carme è espressione forte e ampia non solo di pensiero ma anche di poesia appassionata. E’ allora che sorge l’impulso a cercare in esso anche l’abbandono sensitivo ai suoni delle parole e alla costruzione di ritmi sonori che ne sottolineino i concetti o li contrastino o accompagnino. E’ come soffermarsi sulle qualità corporee di un essere amato e stimato. Purtroppo dovrò cercare di farlo senza avere l’aiuto di una competenza musicologica che non posseggo affidandomi alle impressioni ed emozioni di semplice lettore o ipotetico ascoltatore.
Già dai versi iniziali il rimo apparentemente quasi bloccato nella sacrale pietrificazione dell’iscrizione latina si movimenta nell’affanno emotivo di una interrogativa esistenziale densa di termini sensitivi (confortata, pianto, duro..) e dilatata nel ritmo dall’inversione discorsiva dei complementi rispetto al verbo e nei concetti dalle due spazialità del fuori (all’ombra dei cipressi e il dentro della tomba). Già da qui si intuisce che il nodo fondamentale dell’ispirazione risiede nel contrasto vita-morte. La risposta alla prima domanda è una nuova interrogativa retorica che si svolge come premessa a tutta la tesi foscoliana per un ampio passo dal v.3 al 14. In essa, oltre all’ampiezza discorsiva, altri elementi vitalistici (bella–famiglia, mesta armonia, dolce amico) con il sostegno di sostantivi e aggettivi creano un campo di contrasto all’annullamento della morte potentemente rappresentata in quel campo infinito di un cimitero immenso (infinite ossa…), dove l’annullamento vitale è sottolineato dalla durezza della doppia esse. E anche il ritmo si dilata in un progressivo allargamento operato dalle frasi con anafore negative e poi culmina nel desolato adagio dei versi 17- 18 Ultima Dea fugge i sepolcri…e involve tutte cose l’obblio nella sua notte, dove l’alito della vita anche di pensiero sembra sciogliersi nella liquida dell’allitterazione in elle. Di qui parte poi con il connettivo asseverativo Vero è ben l’ampia solennità dell’argomentazione concettuale dove le anafore, ripetute in polisindeto, dilatano il ritmo nella solennità quasi cosmica della storia umana ma con incisiva movimentazione al verso 23 una nuova interrogativa, raddoppiata dal verso26, riprende il ritmo volontaristico della scelta umana vitale. E successivamente si adagia con tenerezza nell’abbandono di un ampio passo che riguarda gli affetti umani fino al verso 40 dove il campo semantico degli affetti famigliari, sostenuto anche nei suoni dalla ripetizione di suoni chiari in e anche dall’immagine di una natura accomunata nella dolcezza materna (odorata di fiori arbore amica), con la successiva allitterazione delle liquide, crea una melodia quasi di notturno chopiniano.
E’ pur vero che subito dopo riprende con decisione ricca di riferimenti culturali, letterari e filosofici il tono argomentativo nella delineazione non solo storica ma esistenziale fra il passato e il presente quasi aggredito da un accumulo di incisivi toni polemici rivolti all’aridità umana e culturale della contemporaneità. Questo ritmo mosso e anche impetuoso si abbandona dal verso 62 alla dolcezza del richiamo alla poesia “o bella Musa”, nell’immagine sacralizzata del vecchio poeta e appena sfiorata dall’appello impetuoso del verso 72. Ma da qui ancora una volta un passo polemico ricco di elementi negativi non solo nel campo semantico (mozzo, insanguina, ladro, delitti ) e non solo umano ma anche naturale (raspar derelitta cagna famelica nella delineazione di uno spazio cupo ( fosse ) ma anche nei suoni duri e allitteranti in u (ululando, luttuoso), che infine precipita nel lamento del verso 88. E a questo punto sembra quasi spegnersi il ritmo incalzante dell’assalto polemico per adagiarsi con solennità nella riflessione storico-antropologica del progredire della civiltà umana.
In un lungo passo panoramico, l’argomentazione con il paradigma della umanizzazione come ricerca di perennità dei valori esistenziali e sociali attraversa le varie fasi storiche del culto sepolcrale sempre con la scelta ideologica della negatività e dell’aridità presente in opposizione alla felice armonia del mondo antico. Il neoclassicismo foscoliano è indubitabile ma non si rinchiude nella contestazione puramente culturale o addirittura retorica perché le contrapposizioni tra il mondo classico e il presente si evidenziano soprattutto sul piano dei valori affettivi individuali e sociali dove si affaccia con evidenza il calore della memoria. E’ ancora una volta anche il ritmo a dirci questo attraverso dilatazioni di respiro e larghezza dolce di panorami sostetenuti da una parte da campi semantici e da polisindeti connettivi “ e…e” , dall’altra da negatività di vocaboli e durezza di suoni che delineano l’opposizione tra il mondo della pietas antica e quello dell’avidità e aridità presenti. L’andamento argomentativo sfocia, quindi, nella insistita scelta del poeta attraverso il martellante ritmo di condanna nei versi 137-145, sancito anche in una epigrafica solennità nella scelta ai riferimenti della vita personale nei versi 145 -150.
Ora un lungo passo dal tema più specifico della sepoltura si sposta a quello più ampio della cultura e della civiltà in una panoramica delle tombe dei grandi italiani culminante al v.185 nel valore sociale della memoria. Da qui in poi sempre più la memoria assume il valore non solo esistenziale ma anche ideale di custodia collettiva, e non in una funzione puramente consolatoria ma, come è chiaramente espresso nel futuro del verso 188 e come nota Luperini, in funzione di attualizzazione e permanenza dei valori. L’aggiunta della figura drammatica di Alfieri sembra poi compendiare incisivamente questa armonizzazione tra negatività del presente e affidamento al futuro in un verso (190), dove le allitterazioni sembrano sottolineare questa armonica fusione tra esistenza e società, tra idee e sentimenti. Nella molteplicità dei riferimenti storico- culturali ai grandi italiani, il discorso foscoliano sembra poi trovare la sua apertura spaziale e la sua armonia nello sciogliersi del ritmo attraverso la dolcezza delle liquide ( lieta dell’aer tuo veste la Luna di luce limpidissima.. i tuoi colli , vv 168-69) e neppure il riferimento amaro alle “alterne onnipotenze delle umane sorti” (vv 182-83o) nè il movimento rotatorio delle allitterazioni in rotante nella descrizione delle guerre “cozzanti brandi fumar le pire…”(vv 202-203) riesce a spegnere la luminosità armonica al mondo antico che trova una sua solennità epigrafica nell’inversione sintattica di “delle Parche il canto”( v212). Sembra allora naturale lo slancio quasi gioioso del ritmo che parte dall’esclamazione dei vv 213-14 allietata dall’immagine dei verdi anni. E’ uno slancio ritmico, però, che non si estingue nei suoni ma conduce a un atteggiamento vitalistico che si contrappone sentenziosamente alla morte nei vv 220-221, quasi sconfiggendo così la funzione deprivante della privazione di vita.
E’ a questo punto che, con l’approdo alla vicenda personale, il ritmo si allarga sempre più nella visione del mondo antico assumendo dalla molteplicità delle figure mitiche femminili Elettra, Cassandra, le “iliache donne”, le “nuore di Priamo”, una straordinaria mitizzazione dei valori più alti dell’umanità. E non è la prima volta che nel discorso foscoliano il riferimento femminile si riveste della luce dei movimenti e sentimenti più alti della civiltà umana. Certamente non è una glorificazione trionfalistica perché è intrisa della malinconia delle sconfitte e del pianto della sofferenza ma, comunque, è capace di esaltare il valore degli affetti e del diritto assalito dalla violenza. Il mondo mitico con ampiezza di orizzonte si affaccia sul presente in una sinfonia di memoria che accoglie generazioni, vittorie e sconfitte, priva di ogni retorica celebrativa nel calore dei sentimenti umani di dolori, malinconie e speranze per rendere laicamente sacra la storia umana. E’ qui che la poesia nel pensiero foscoliano raggiunge la sua vetta di funzione esistenziale e sociale. E’ significativo, quindi, non lo spegnersi ma l’affidarsi di questa celebrazione dei vaori umani alla figura di poeta che nell’ultimo passo sulla immagine e la funzione di Omero riesce a legare in un armonico valore la debolezza del “mendico cieco” con la sacralità eternatrice del canto.
La figura di Ettore sconfitto e perennemente onorato chiude il messaggio in una visione capace di sconfiggere con l’ottimismo sui valori conservati dalla memoria poetica il pessimismo della osservazione razionale. E’ così che l’uso del verbo al futuro a partire dal v.279 scandisce in un passo solennemente mosso la chiusura epigrafica della splendida sinfonia foscoliana con uno splendido finale ”finchéil Sole risplenderà sulle sciagure umane” (vv 294-295). Ed allora è proprio vero quanto nota Franco Fortini riferendosi a uno dei problemi antropologici più inquietanti del tempo presente cioè l’ammutolirsi del passato in una civiltà che celebra il presente, l’eterna giovinezza, l’occultamento della morte, che sembra necessario e vale la pena il trasmettere alle giovani generazioni, che hanno subito più di una cesura con il passato, il valore foscoliano della memoria. Essa permette non solo all’individuo di sopravvivere alla distruzione materiale ma anche alla civiltà sociale di conservarsi in un progresso crescente con i suoi valori positivi che continuano ad agire sfuggendo alla cancellazione del tempo.