Dacia Maraini, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2022
Caro Pier Paolo,
Vorrei terminare queste lettere con un sogno felice. Eravamo in Africa, mi pare in Congo. […] E così noi ballavamo, seguendo il ritmo dei tamburi, con una gioia del movimento fine a sè stesso. I piedi andavano da soli, battevano, giravano, saltavano, giocavano, niente avrebbe potuto fermarli, le braccia si levavano in alto, poi tornavano a intrecciarsi, le mani cavalcavano l’aria, le teste giravano come trottole […]. Mi piace terminare con questa immagine felice il nostro breve incontro tra i sogni di tante notti che hanno seguito la tua morte.
Con l’addio finale all’amico Pier Paolo Pasolini si conclude l’ultima pubblicazione di Dacia Maraini, un romanzo epistolare in cui si dispiega la narrazione di episodi di vita vissuti insieme nella villa di Sabaudia comprata in comproprietà quando la scrittrice era legata a Moravia e Pasolini a Ninetto Davoli, oppure ricordi di viaggi in Africa, la destinazione preferita da Pier Paolo, o anche frammenti di incontri culturali nei caffè romani in cui gli intellettuali si scambiavano idee come negli oderni salotti. La memoria è suscitata da sogni che l’autrice racconta nella loro valenza simbolica interrogando l’amico scomparso sulla loro interpretazione e coinvolgendo anche il lettore nel fascino misterioso di una vita onirica.
Il brano sopra riportato, estratto dall’ultima lettera indirizzata all’amico scomparso, ci fornisce la chiave di lettura della dimensione in cui si muove tutta l’opera: un intreccio di reale e irreale e anche di surreale, che è in fondo la sostanza dei sogni, perchè si fa sì riferimento ad un contesto reale, ma anche ad un ballo gioioso che non appartiene alla natura di Pasolini, spettatore pensoso e dolente della felicità altrui, anche se amava osservare il ballo in sè come espressione di una civiltà contadina e primitiva. Tutto ciò che fosse manifestazione di ingenuità fanciullesca e candore virginale lo attraeva perchè ancora incontaminato dalla corruzione della “civiltà” dei consumi e del progresso. Questo spiega anche la sua attrazione per i ragazzi, e Ragazzi di vita è il titolo di un suo romanzo, ma vissuta con sensi di colpa e spiegazioni contraddittorie, come piene di contraddizioni erano le sue argomentazioni anticonsumistiche che la scrittrice spesso critica e contesta proprio per la loro ambiguità in un confronto dialettico virtuale con il suo amico scomparso.
Il lavoro di memoria scava nel passato spulciando tra le lettere inedite consegnate alla scrittrice, i ricordi personali, le numerose opere citate, le amicizie comuni. Un recupero memoriale di grande spessore che unisce il rigore della ricerca e la profondità dell’analisi della intellettuale di valore con la tenerezza materna della donna amica che vuole omaggiare un amico e insieme un grande intellettuale a cento anni dalla sua nascita. Con uno stile piano dal ritmo efficace, Dacia Maraini ci fa attraversare la complessità labirintica della personalità di Pier Paolo Pasolini non solo attraverso episodi narrati ma anche con diversi brani di sue opere, “l’empirismo eretico” del suo pensiero, la visionarietà profetica dei suoi scritti corsari, la denuncia politica di Petrolio pubblicato postumo, la denuncia sociale e morale dei suoi film, l’afflato magico ma anche realistico dei suoi versi. E ci restituisce anche un’immagine inedita di una persona insicura, fragile, alla ricerca di un punto di riferimento stabile che non trovava dopo il rifiuto del padre la cui assenza aveva cercato di riempire con un amore ingombrante verso la madre Susanna, fonte della sua angoscia. A testimonianza, Dacia riporta i versi dello stesso poeta: Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,/ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore./Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:/è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. (Supplica a mia madre)
La lettura è agevole anche per il carattere aneddotico e confidenziale con cui l’autrice rievoca risvolti privati come i tentativi di adescamento da parte della cantante lirica Maria Callas, convinta nella sua ingenuità di poter “guarire” Pasolini con il suo amore, come se l’omosessualità fosse una malattia, o ancora il dolore e la delusione di Pier Paolo per il matrimonio dell’amato Ninetto oppure il suo eclissarsi di notte alla ricerca di piaceri proibiti all’epoca, esponendosi a rischi che poi si sono concretizzati. Come se andasse alla ricerca della morte, commenta Maraini.
La scrittrice ci ha consegnato un ritratto a tutto tondo dell’intellettuale forse più poliedrico e “plurilinguista” del Novecento con una levità che ce lo rende prossimo e ci fa accostare in punta di piedi con tono affabulatorio a quello che Valerio Magrelli definì un artista totale dal genio eretico.
Tra le tante rievocazioni del suo genio a cento anni dalla nascita, questa è senz’altro la più discreta e nello stesso tempo coinvolgente per l’affetto che si percepisce, certo la più lontana dalla retorica oleografica da cui mise in guardia Asor Rosa: per carità, non fatene un santino. Un destino che Pasolini non si merita.