Distinguere un’opera pittorica che ”piace” da una che “vale” non è così semplice, può diventarlo quando le due cose coincidono, come avviene dinanzi al vasto ”olimpo” dei grandi dell’arte di ogni tempo. Il carisma di un “genio” è così pervadente ed incontrovertibile da non ammettere che stupore ed emozione. Esiste, tuttavia, perfino davanti ad un simile privilegio, la possibilità di maggiore o minore coinvolgimento a seconda della sensibilità, del gusto personale, dell’attitudine a saper leggere i significati e qualche volta le trasposizioni dell’arte. Ciò che, per eccellenza, rende consapevoli del bello resta la “commozione”. E’ pur vero che ci si può commuovere anche per un’immagine qualsiasi che tocchi il tasto giusto al momento giusto ma nel nostro discorso ci riferiamo a quella che nasce dalla mediazione fra sentimento e intelletto e che, in un “lampo”, fa captare tutto: da cosa ha potuto muovere la volontà creativa dell’artista, la scelta del mezzo tecnico ed il suo perché, alla scuola di riferimento e la disposizione a seguirla o trascenderla, fino all’innovazione. E quel “lampo” può veramente costituire un attimo di rapimento. Ho provato qualcosa di simile a Parigi, al Louvre, mentre giravo per il lungo percorso dedicato agli artisti italiani, senza cartina, senza accompagnatori nè altri elementi di distrazione. Così, del tutto assorta nei miei pensieri, entro in una sala, neanche tanto grande, e lì, come d’incanto, mi appare “la Vergine delle rocce” del nostro immenso Leonardo da Vinci e non riesco a frenare le lacrime: quell’immagine, vista e rivista sui libri è ora davanti a me vera e tangibile, in una luce quasi soprannaturale e in quella sublime mitezza nella quale Leonardo ha saputo rappresentarla.
Per riprendere ora il filo del discorso in una dimensione più realistica supponiamo di capitare in una festa rionale, una fiera o qualsiasi altra occasione non paludata e di restare colpiti da un’opera figurativa trovata lì per caso. Varrà la pena di darle un’occhiata migliore, ci chiediamo, che ci aiuti a scovare il perché non siamo passati otre indifferenti? Il discorso, a questo punto, si stringe proprio attorno a ciò che riguarda “come guardare un quadro”.
Partiamo dal concetto che anche davanti all’opera più ingenua, la stima verso di essa deve somigliare più a quella verso una composizione musicale che non verso un’immagine fotografica, per bella che possa essere. Le varie fasi immaginative dell’autore – considerando come “immaginazione” la sua capacità di tradurre le cose in “immagini”, si possono cogliere qualora egli ci dia la possibilità di ricostruire quel percorso che lo ha portato dalla realtà, alla “sua” realtà. Le soluzioni che il pittore sceglie possono dipendere da più fattori: da cosa desidera raccontare, da cosa sceglie come mezzo per esprimerlo , dalla fortuna di possedere le qualità per farlo. Egli sarà un “artista” quando troverà “forma tangibile” per la incorporea struttura di ciò che ha provato davanti ad una “realtà tangibile”. L’osservatore si accorgerà se egli si è costituito uno schema equilibrato nel quale far esistere questa “sua” realtà. Perché, lo ripetiamo, non sarebbe interessante vedere qualcosa di troppo vicino ad una fotografia quanto invece capire come siano stati captati i tratti più rilevanti di una dato soggetto fino a farli emergere fra altri non protagonisti per arrivare a porgerne una visione efficace e percepibile. Chi guarda deve, essenzialmente, essere capace di afferrare questo traslato espressivo che rappresenta una realtà artistica sottendendone un’altra materiale. Sembra un discorso complicato ma si riassume in un concetto rapido come quello di “colpo d’occhio”.
Il disegno fotografico è altra cosa, pensiamo solo ai vari campi nei quali esso è applicato, vediamolo nella ritrattistica “di strada” o nella matita di tante persone a noi vicine (beate loro!!!). L’arte però si manifesta solo quando c’è perfetta compenetrazione fra struttura-funzione delle cose e capacità di rappresentarle filtrate da quella “forza” che le trasforma in elaborato artistico. L’osservazione di una determinata realtà in un determinato momento è, peraltro, per l’autore, sempre influenzata da quanto egli ha visto e notato in precedenza e solo quando tali dinamismi raccolti dalle cose diventano espressione di altrettante “forze” capaci di esprimerle, la rappresentazione ne assume un significato più profondo e l’autore diviene “artista”. Egli saprà distinguere, nel corso del processo creativo e nell’elaborazione dell’opera, ciò che l’ispirazione suggerisce come elemento essenziale ad esprimere la natura del suo “soggetto”, da ciò che è soltanto accidentale impulso, piuttosto mistificatore, che non mediatore del soggetto stesso e qualora tale elemento si sia introdotto sarà pronto a correggere, a rivisitare l’opera fino a che non rappresenti l’essenza di ciò che egli aveva nella mente e nel cuore. Per noi spettatori tutto questo è deducibile da un’ osservazione ben condotta, dal confronto con altre versioni o stadiì dell’opera stessa, quando ci sono, e con altre opere dello stesso autore. Tutte cose ben fattibili all’interno di una mostra, di un museo o, alla peggio, di un buon testo d’arte.