Il ‘merito’, la ‘selezione’… parole ormai all’indice, anzi, parolacce, guai a chi osa nominarle, e questo anche se poi si tratta di criteri universalmente usati nel mondo del lavoro, della produzione artistica, e via dicendo. Ma nel mondo della scuola …apriti cielo!
Ultimamente Tito Boeri e Roberto Peretti hanno affrontato il problema sulle pagine di Repubblica, gli argomenti erano quelli classici, che stiamo trattando da qualche decennio, cioè come identificare un talento ed indirizzarlo in modo produttivo, ma anche come premiare il ragazzo che parte svantaggiato,e che ha ottenuto risultati minimi.
Un docente preparato dovrebbe fare tutte e due le cose, stimolando, interessando gli alunni in difficoltà e , CONTEMPORANEAMENTE, favorendo la crescita culturale dei più dotati…Le maiuscole non sono casuali,perché la quadratura del cerchio è proprio lì, e anche Boeri e Perotti ammettono con candore ed onestà che bilanciare le due cose è complicato, e che non hanno nessuna soluzione da proporre, aggiungendo però che porre il problema già conta qualcosa…
E qui, come si dice, cade l’asino, perché chi non vive dentro la scuola, anche se ha studiato e riflettuto, non ha una visione chiara, anzi, nemmeno appannata di come stanno le cose, altrimenti si renderebbe conto che il problema è stato posto fin dagli anni ’70, coi decreti Delegati, i genitori nei Consigli scolastici e tante altre novità per conoscere meglio i giovani,il loro ambiente, le loro difficoltà. Con quali risultati ? Ahimè, pagine e pagine di adempimenti burocratici, registri fitti di descrizioni, perché il prof non può avere opinioni sugli alunni che non siano minuziosamente spiegate ed offerte alla consultazione e verifica delle famiglie che, evidentemente, poco si fidano della sua obiettività. In breve, da una scuola antiquata e classista si è passati alla giustificazione di ogni comportamento, in nome della giovane età e delle problematiche più varie. Come è potuto accadere? Semplicemente perchè gli studenti, invece di pretendere scuole serie, sostegno economico eccetera, hanno pensato bene di reclamare la promozione tout court, con buona pace dello studio e della cultura.
Fermo restando che la preparazione di base dovrebbe essere garantita, l’unica strada per uscire dalla palude in cui si trova la scuola è trovare il coraggio di dire ai ragazzi quali sono le loro prospettive reali, senza alimentare illusioni ed esagerazioni che, queste sì, possono generare traumi nell’età adulta, delusioni, crisi da cui è difficile riscattarsi. Nel terzo mondo vi sono tribù dove i bambini di sei, sette anni, non avendo sufficiente cibo in famiglia, stanano i serpenti e li arrostiscono, o pescano per ore in acque gelide e pericolose, certo, sono situazioni estreme che nessuno può augurarsi, eppure quei bimbi lo fanno con una abilità e naturalezza incredibili, mentre i nostri pargoletti non sanno nemmeno allacciarsi le scarpe, o prepararsi un panino…
Basta con questa adolescenza protratta ad libitum, e, per quanto riguarda il merito, ricordiamoci che, fino al secolo scorso, i talenti si manifestavano presto, addirittura a 10, 15,18 anni, basti pensare a Mozart, Schubert, Leopardi e cento altri…insomma, dopo i vent’anni i giochi erano fatti, e la maturità diventava la norma. Certo, nessun percorso di formazione, come si dice oggi, è facile, ma non è rimanendo nella tana, sotto un caldo piumino, lontano dai pericoli, dalle situazioni difficili, che si risolvono le cose.