Nel corpo del vento

Nel corpo del vento

Leandro Di Donato, Di Felice, Martinsicuro, 2021

Si tratta di poesie scritte lungo un arco temporale di quattordici anni e che si pongono in continuità con la ricerca poetica di Di Donato sui temi dello sguardo, dell’amicizia, delle fatiche tra umiliazioni e attesa dignitosa, mai ingenuamente ottimistica, di venti nuovi.

Ciò che innanzitutto colpisce di questo libro è il titolo Nel corpo del vento, con l’accento che cade sul quel potere fascinoso e tremendo del vento che distrugge e solleva,  raccoglie, trasmette e disperde aspirazioni e intenti, storie di vite felici e  il pianto di quanti gridano un giusto riscatto. In ogni caso il titolo evoca la contraddizione tra ciò che è  materiale e pesante, il corpo che contiene le infinite sfumature del vivere e il vento onnipresente, invisibile, carico del mondo e leggero. Mi ha fatto pensare a qualcosa di simile, ossia  al titolo dato alla raccolta dei pensieri di Simone Weil: La pesanteur et la  Grâce, per esprimere la sempre inquieta coesistenza tra ciò che tira giù e ciò che tira su, dunque un ossimoro, espresso in modo più o meno metaforico e diretto.

E’ caratteristica della poesia da una parte dare corpo a tutto ciò che ci lega alla terra, che pesa, che simboleggia il male di vivere ed anche l’insondabilità del male in sé e dall’altra quella forza nascosta, carsica, mutevole, a volte potentissima, con i suoi tornado distruttori, altre volte dolcissima, una brezza come una carezza, altre ancora una folata feconda di pollini che promettono buoni frutti. Tra essi il soffio della speranza mai risolutiva, ma che a tratti sembra sconfiggere le ombre della paura e sollevare il corpo verso un futuro gravido di promesse.

La paura taglia il respiro

secca le fonti della parola

chiude gli abbracci.

La paura nutre le paure,

 assedia le speranze e lega le mani

conforta le rinunce e assolve le fighe.

Le ombre della paura sembrano

imprigionare tutto il cielo

ma si disfano in fughe di nubi

se il vento di un pensiero diverso

trova la forza di un soffio

e la testimonianza anche di un solo

volto riflette la luce chiara

dell’incontro che non teme

di guardare il mondo degli altri

e offrire il proprio.

Leandro comunica la sua anima attraverso un linguaggio poetico essenziale ed incisivo.  È la scelta migliore in un’epoca postmoderna in cui tutto ciò che è comunicazione razionale e tecnologica, ricca di strumenti digitali mozzafiato guadagna in velocità e funzionalità, ma perde la capacità di entrare nelle anime e muoverle. Lo ha ben compreso Anna Maria Farabbi scrivendogli: “Carissimo Leandro, noi due sappiamo quanto la poesia sia il nostro quotidiano, la nostra politica, il nostro sentimento, il nostro viaggio grande di passi umili verso la costruzione di ponti”.

Sono proprio ponti direi d’amore, se questa parola non fosse abusata e consumata. Si leggano i versi della poesia L’incontro:

“Ho preso un panno di cielo

E un filo d’erba per cucire

L’attesa dell’incontro

E proteggere il palpito di una sorpresa”.

Il linguaggio poetico di Di Donato è ben lontano dall’improvvisazione di chi dà sfogo ai propri sentimenti. Al contrario la sua poesia traduce in versi la fatica e la consapevolezza del peso delle singole parole e della responsabilità dello scrivere. E’ una scrittura ponderata dal lavoro culturale di anni, dalla riflessione, da quel confronto interiore tra il vissuto e l’anima che osserva, si osserva e distilla versi senza compiacimenti consolatori. Mi pare che chi legge queste poesie avverta quella carezza di cui l’autore scrive: “una carezza trattenuta rimane tra le mani come una promessa un tremito di cielo e di dita”.

Giulia Paola Di Nicola