Sylvia Plath e il male di vivere

Sylvia Plath e il male di vivere

Morire / è un’arte / come tutto il resto. Lo faccio eccezionalmente bene. / Lo faccio così da sentire l’inferno. / Lo faccio così da sentirlo vivo. / Penso che si possa dire che ne ho la vocazione.

Sono versi tratti dalla lirica Lady Lazarus di Sylvia Plath ( 1932 – 1963 ), pubblicata nel 1965, due anni dopo la sua morte. All’epoca della scomparsa la poetessa americana era solo la moglie di Ted Hughes, poeta inglese emergente, sconosciuta autrice di Il Colossus, raccolta di liriche pubblicata nel 1960 e passata inosservata.

Sylvia Plath nasce a Boston il 27 ottobre del 1932 da padre tedesco e madre di origine austriaca. Otto Plath è un eminente entomologo, linguista, acceso darwiniano, sempre impegnato nella ricerca ed aiutato in questo dalla moglie Amelia. Sylvia comincia a comporre versi e a scrivere diari fin dall’infanzia ed eccelle negli studi ma, come scriverà più tardi, la sua infanzia finì all’età di otto anni. Il padre Otto si ammala gravemente e non intende inizialmente sottoporsi ad alcuna cura; si ritira in un silenzio oppressivo e doloroso alternato a gemiti e accessi di furore che determineranno la particolare fisionomia del rapporto di Sylvia con il padre.

La scrittrice frequenta lo Smith College di Northampton e conclude il primo semestre con voti brillanti. Tornata a casa, entra però in una grave crisi depressiva alla quale seguono tentativi di cure psichiatriche e l’elettroshock; tenta anche il suicidio ingerendo barbiturici ma si salva grazie all’intervento tempestivo del fratello Warren. Nell’inverno del 1954 torna al College laureandosi brillantemente ed ottiene una borsa di studio Fulbright che le consentirà un periodo di studi in Inghilterra. A Cambrige incontra il giovane poeta Ted Hughes che sposa segretamente per non perdere la borsa di studio. Dopo un breve periodo negli Stati Uniti, la coppia fa ritorno in Inghilterra comprando una casa nel Devon. Sylvia decide, fortemente appoggiata da Ted, di dedicarsi totalmente alla scrittura e alla poesia. Dà alla stampa Colossus e The Bell Jar, romanzo autobiografico in cui narra l’esperienza vissuta in una casa di cura per malattie mentali. Nonostante la nascita di due figli, il rapporto si incrina per i continui tradimenti di Hughes, rivelatosi uomo violento e inaffidabile. Sylvia lascia il Devon stabilendosi a Londra in un piccolo appartamento abitato anni prima dal pieta irlandese Yeats. Le frustrazioni della vita domestica, lo scarto fra la realtà e l’ardore poetico le sono insopportabili; l’11 febbraio 1963, in un gelido mattino Sylvia compone una poesia, l’ultima, prepara la colazione ai bambini, apre la finestra della loro stanza sigillandola con del nastro, si reca quindi in cucina e si uccide respirando gas.

Nell’opera di Plath emerge un elemento importante: è la sua dicotomia la cui natura è stata messa in relazione con le due immagini, materna e paterna, e con il rapporto tortuoso che la poetessa ebbe con la madre viva ed il padre morto. Del padre scrive in una delle sue lettere che era un autocrate. Lo adoravo e lo disprezzavo e desiderai probabilmente molte volte che fosse morto. Quando mi fece la cortesia di morire, immaginai di averlo ucciso. Nei diari la sua dicotomia si manifesta anche nel desiderio di essere brillante nell’arte del comporre e nello stesso tempo perfetta moglie e madre. Distrutta inesorabilmente dal male di vivere, compone liriche piene di accenti profondi ed intimi dove la morte, rappresentata quasi come amante, ha un ruolo dominante; la sua poesia, nelle invenzioni metriche e nella perfezione delle metafore, riflette il modo traumatico di affrontare la vita.

La pubblicazione delle opere di Sylvia Plath coincide con il sorgere del movimento femminista negli Stati Uniti e in Gran Bretagna; presto la poetessa diviene l’icona del movimento, la vittima di un uomo il cui quasi totale silenzio dopo la sua morte contribuisce a gettare benzina sul fuoco. Tuttavia, la critica recente ha sottratto la figura di Plath all’ortodossia femminista riconoscendole l’enorme talento e la memorabilità dei versi. Interpretare il gesto del 1963 come la protesta di una moglie tradita, vittima dei prgiudizi maschili, rende all’artista un pessimo servizio. Inizialmente ritenuta estranea a qualsiasi corrente letteraria, solo di recente il suo nome è stato accostato a quello di Marianne Moore ed Emily Dickinson, considerate le maggiori esponenti della poesia confessionale del secolo scorso.