I NEET

Ho incontrato una mamma desolata perché il figlio ormai trentenne non fa che dormire o trastullarsi con gli apparecchi elettronici. Non è il solo, giacché è purtroppo un fenomeno tipico dei nostri tempi – anche e forse più della società italiana – il
numero crescente di giovani, chiamati NEET (Neither in Employment nor in Education or Training, che in Italia sarebbero secondo l’ISTAT 2 milioni), ossia giovani che rifiutano lo studio, la ricerca di un lavoro e il matrimonio. Intristiscono
adagiandosi nell’apatia, come fossero nati per caso e senza alcun compito da svolgere. Facilmente cadono in forme di svilimento della vita, come le dipendenze, le sette, i suicidi.

Il mondo postmoderno rende particolarmente difficile fare scelte definitive, come il matrimonio, la consacrazione verginale, il sacerdozio, le migrazioni. La forte mobilità geografica verso cui spingono le aziende e il mondo del lavoro in genere
allarga gli orizzonti, ma insieme sradica, costringe a reinventarsi, specie dopo eventuali fallimenti, licenziamenti, crisi economiche. Prevale quella ‘liquidità’ che suggerisce di optare per decisioni a corto raggio, sempre retraibili, rinegoziabili e tali da consentire, all’occorrenza, un’uscita di sicurezza (per dirla con I. Silone).
Eppure, vi sono impegni che decidono di una vita soddisfacente, ma che prendono tutte le energie convogliandole verso un obiettivo primario che non tollera dispersioni: una professione esigente, una creazione artistica, una persona a cui
dedicarsi totalmente, la consacrazione a Dio.

Si racconta che Michelangelo affermava di non essersi sposato per amore dell’arte che lo possedeva completamente e a chi
glielo rimproverava, rispondeva: Io ho moglie troppa, che è quest’arte, che mi ha fatto sempre tribolare ed i miei figlioli saranno le opere che io lascerò.
Se non si vuole restare sospesi e lasciarsi trascinare, per ritrovarsi al termine della vita con le mani in mano, bisogna avere il coraggio di spendersi per qualcosa o qualcuno senza disperdersi tra un progetto e l’altro. Quando la parabola discendente
della vita tocca il punto più basso e si arriva a quel sì decisivo, preparato dalle tante circostanze che passo dopo passo inducono a distaccarsi da qualcosa, da qualcuno, dalla vita stessa, tutti vorrebbero fare un bilancio positivo e preferirebbero forse un cuore strapazzato ad uno intatto, perché risparmiato. Nel sacrario più intimo della coscienza, ciascuno ha il diritto e il dovere di prendere le decisioni che gli si confanno, di dire dei ‘sì’ e dei ‘no’ che corrispondano ad un’interiore propensione, a
talenti da mettere in circolo, che diversamente ristagnerebbero.

Non sempre si fanno le scelte definitive con la maturità necessaria. Può accadere che ci si sopravvaluti o sottovaluti, che si seguano obiettivi alla moda scambiandoli per confacenti a sé oppure con il destino o la volontà di Dio, premessa di percorsi di
vita fallimentari e di patologie da delirio religioso. Il sistema formativo – famiglie, scuola, Chiese – ha le sue responsabilità in
questa incapacità di trasmettere ideali trainanti, ovvero quella spinta utopica di cui i giovani hanno bisogno per mettere in moto le proprie energie. Una sfida per gli adulti di oggi sta nell’aiutare i ragazzi a captare dall’intimo di sé, dalle ispirazioni e dalle circostanze, le indicazioni di rotta che si presentano possibili e doverose e dire conseguentemente il proprio ‘sì’.