Volenti o no, siamo ‘costretti’ ad assistere ad una sequela di programmi televisivi e a leggere innumerevoli articoli di giornali che giorno dopo giorno seguono il lungo processo dall’annuncio della morte al transito della bara con corteo tra ali di folla triste e delirante da una città all’altra, con ripetizioni di rituali antichi ritenuti inamovibili, fino al giorno della incoronazione del nuovo-vecchio re Carlo III. Gli avvenimenti della casa reale hanno una tale risonanza da occultare la tragedia della guerra in Ucraina e far dimenticare la crisi economica e politica che stiamo attraversando.
La morte della regina ha provocato, come spesso accade quando scompare una persona molto potente e nota, una glorificazione in parte meritata e in parte retorica, se non in alcuni aspetti idolatrica.
Lungi da noi voler sottovalutare i meriti che Elisabetta ha dimostrato con l’intera sua vita e che il mondo le ha riconosciuto: ha coerentemente e costantemente dato seguito alla promessa solenne di servire il suo popolo e dunque di porre il ruolo che la sorte le ha riservato al di sopra delle propensioni personali e degli affetti più cari. Parimenti apprezzabile la sua regale capacità di restare a dignitosa distanza dalle passioni agitate dalla vita politica, in atteggiamento di ‘partecipe-neutralità’ rispetto alle scelte che di volta in volta i governi democraticamente eletti hanno fatto, senza lasciar trapelare lo sconcerto per quelle da lei non condivise.
Grazie ai suoi 70 anni di regno, la monarchia è risultata essere il più valido pilastro per la stabilità dello Stato britannico, il che è notevole in un’epoca ‘fluida’ in cui tutto muta rapidamente. In vita e soprattutto dopo la morte, Elisabetta ha soddisfatto il compiacimento degli inglesi che si identificano in un regno forte, a scala mondiale.
Le voci critiche, deboli e ‘fuori dal coro’, fanno fatica a farsi strada. Su Twitter sono stati rimossi i post ritenuti offensivi per la Regina e per il regno Unito. Non è stato gradito che si ricordasse, come ha fatto sul ‘New York Times’ Maya Jasanoff, docente di storia all’Università di Harvard, che la Regina «ha contribuito a oscurare una sanguinosa storia di decolonizzazione», con riferimento ai lunghi anni della permanenza al vertice dei 14 Stati indipendenti che costituiscono il Commonwealth, come simbolo di coesione tra la madrepatria e le ex colonie. Non è il caso di dimenticare il passato imperialista del Regno Unito, non esente da crimini commessi in nome della casa reale. Qualcuno ha calcato la mano parlando di «impero genocida». Ancora permangono legami più o meno solidali, talvolta conflittuali o in via di estinzione, centrati sul primato simbolico – ma non del tutto – della casa reale inglese. Non possiamo sapere quale specifica posizione la regina abbia assunto in questa o quell’altra circostanza, ma certamente ha dovuto molto tollerare in vista della permanenza della dinastia ereditata e dell’impero ricevuto e da restituire compatto e forte.
Da noi c’è stata polemica quando Alessandro Gassmann ha postato il seguente tweet: “È morta un’anziana signora. che mi stava simpatica. Ha fatto una vita bellissima e piena di responsabilità, vivendo in castelli e spostandosi a volte in carrozza”
E’ un post che nella sua apparente semplicità sottolinea un aspetto da tenere in conto: se tutti possiamo imparare da lei a vivere il ruolo che la vita ci assegna con dedizione, lealtà, coerenza, non tutti guadagnano i riconoscimenti e gli onori che a lei sono stati tributati. I funerali della Regina contrastano con quelli dei tanti poveri e sconfitti della storia che dopo una vita dura, forse parimenti o ancor più meritevole, sono rimasti anonimi oppure hanno guadagnato solo denigrazione e condanna. Quando riceveranno costoro una qualche gratificazione e l’onore che si deve a vite ben spese?
Pace e onore alla regina che ha fatto dignitosamente la sua parte, abbondantemente esaltata: iam recepisti mercedem tuam.
Giulia Paola Di Nicola