Da alcuni giorni tutti i mezzi di comunicazione raccontano la morte della regina Elisabetta, le cerimonie funebri in suo onore e l’avvento al trono di Carlo III, dopo una lunga attesa. I giornalisti della carta stampata e delle reti televisive dibattono sulle conseguenze che tale avvicendamento comporta, in termini politici, economico-sociali e personali, facendo bilanci del passato e previsioni per il futuro, evidenziando presenze e vicende dei vari componenti la famiglia reale: scandali, contrasti e riavvicinamenti.
Mi ha colpito molto l’accenno al ruolo del Parlamento che il nuovo re ha fatto nel suo discorso di insediamento, indicandolo come luogo di democrazia. Carlo ha asserito una verità storica, perché fin dall’inizio del Seicento non si può parlare della monarchia senza far riferimento a quella istituzione, non solo per il fatto che riveste un ruolo centrale nella politica britannica, ma anche perché si può considerare come la culla del liberalismo e della democrazia moderna. Di solito si attribuisce la nascita della moderna democrazia alle due grandi rivoluzioni del Settecento, quella americana e quella francese. In effetti la prima, con la Dichiarazione d’Indipendenza del 4/7/1767 segnò il distacco delle colonie inglesi dalla madrepatria e decretò la nascita della Repubblica Federale degli Stati Uniti d’America; la seconda abolì la monarchia, proclamando la Repubblica nel 1791. Entrambe si basavano sul rispetto della Costituzione: quella americana del 1787, il cui testo è rimasto identico, ma integrato da Emendamenti successivi per adeguarlo alle nuove esigenze; mentre in Francia lo scontro delle diverse posizioni politiche ha dato luogo a più Costituzioni: 1791, 1793, 1795.
Perché, allora, possiamo considerare l’Inghilterra come la culla della democrazia? La gran Bretagna non ha una Costituzione scritta, come quelle citate, infatti la Magna Charta del 1215 riguarda i rapporti fra il re e i gruppi di potere feudali; mentre il Bill of Right (1688) è il documento imposto dal Parlamento alla monarchia dopo la fuga di GiacomoII e la sua sostituzione con Guglielmo d’Orange (marito di Mary Stuart figlia di Giacomo), con cui venivano stabiliti i ruoli e le competenze degli organi di governo. A questa “Carta dei diritti” fece seguito l’Atto di Tolleranza (1689), con cui veniva riconosciuta l’eguaglianza civile e giuridica dei dissidenti religiosi, ponendo così fine alle persecuzioni religiose.
In tal modo giungeva a compimento la seconda rivoluzione inglese, detta anche “gloriosa rivoluzione”, che chiudeva decenni di lotte tra parlamento e monarchia. Tuttavia l’istituto monarchico non venne messo in discussione e venne restaurato dopo il fallimento dell’esperienza repubblicana di Cromwell, che aveva governato in modo dittatoriale, danneggiando anche gli interessi della borghesia che lo aveva sostenuto. La restaurata monarchia di Carlo II e poi di Giacomo II fu in rapporti molto tesi con il parlamento a causa delle tendenze assolutistiche dei sovrani Stuart; ormai non si poteva tornare all’assolutismo della monarchia di diritto divino nel paese dove lo sviluppo economico e commerciale aveva depotenziato il ruolo della nobiltà (che spesso si era convertita agli affari) e rafforzato il potere della borghesia, rappresentata nella Camera dei Comuni. Già nel 1679 il Parlamento aveva votato l’Habeas Corpus Act, a difesa dei diritti dei cittadini specialmente in materia religiosa e politica. Proprio in seguito alla “seconda rivoluzione” il parlamento britannico assunse un ruolo centrale nella vita politica del paese, sotto il profilo legislativo ed esecutivo: i suoi membri venivano eletti (anche se a suffragio censitario) e il governo era esercitato dal capo del partito vincitore alle elezioni.
La monarchia è riuscita a sopravvivere grazie alla sua capacità di adeguarsi alle esigenze dei tempi e a conciliare tradizione e innovazione attuando un lento e faticoso equilibrio con il parlamento. Questo ha consentito alla Gran Bratagna, tra il XVII e il XIX secolo, di conquistare e amministrare un vasto impero coloniale, e – dopo la decolonizzazione seguita alla seconda guerra mondiale – mantenere relazioni economiche con molti paesi e la sovranità di 14 Stati.
Paradossalmente la monarchia continua ad essere presente, e anzi in alcuni momenti assume un ruolo importante, anche se la sua funzione è solo rappresentativa; infatti, pur essendo un istituto anacronistico con scarso potere effettivo, costituisce un elemento importante per la società britannica e per il suo potere simbolico rappresenta un elemento di unità in un paese costituito da quattro Stati, in cui convivono diverse realtà etniche, religiose ed economiche, e a cui fa capo un impero economico come il Commonwelt.