Un ricordo della scrittrice del romanzo L’isola di Arturo, ambientato a Procida, proclamata Capitale della Cultura per il 2022
Nel parlare di Elsa Morante, mi capita di avvertire, come accadeva a Gianna Manzini nell’affrontare la figura del padre, una specie di remora, di impuntatura, certamente non per gli stessi motivi profondamente e visceralmente esistenziali che la ostacolavano, ma forse per una ragione del tutto più banale, di gusto letterario. A me sembra che nell’attività di questa scrittrice ci sia una tale pienezza di pensiero, di parola, ma anche di sensibilità, che diventa quasi difficile rintracciare i fili conduttori della sua ispirazione e anche dei suoi risultati artistici. E tuttavia cercherò di penetrare, come posso, in quel groviglio denso di sentimenti e di parole che mi pare di trovare nella sua opera. Forse bisogna partire dalla sua infanzia, non soltanto perché in ogni essere umano ogni momento primario dell’affacciarsi alla vita segna un imprinting particolare per le future attività ma anche per un motivo tutto specifico: Elsa Morante fu una scrittrice precocissima. Lei stessa in alcune interviste ci comunica che già prima dei dieci anni aveva iniziato “Il mio primo libro”.
Ma non si trattava soltanto di una delle tante e diffuse esperienze di scrittura infantile che molte bambine cominciano per bisogno di esprimersi e magari poi abbandonano entrando nella vita adulta: l’esigenza e le capacità erano più radicate in profondità. Elsa continua anche nell’adolescenza e per tutta la vita a scrivere, a pubblicare in riviste varie, da I diritti della scuola al Corriere dei piccoli. Scrive tanto anche perché a solo diciotto anni, con una spregiudicatezza e libertà quasi inimmaginabili nell’Italia degli anni trenta, va a vivere fuori della famiglia e deve mantenersi da sola. Scrive di tutto, anche tesi di laurea, poesie (non pagate) e racconti (pagati). Borghese per cultura, la sua è una famiglia di insegnanti con un padre solo anagrafico e un padre naturale assente, ma popolana per condizioni economiche e anche per contesto esistenziale. Elsa però ha modo di conoscere anche il mondo dell’aristocrazia. Una parente, sua madrina, ha sposato un nobiluomo e la porta per un certo periodo dell’infanzia a vivere con sé nella sua villa del quartiere Nomentano dove lei si fa notare per la sua bravura di piccola scrittrice di favole teatrali.
La prima importante opera di Elsa scrittrice, il romanzo Menzogna e sortilegio, che ottiene il Premio Viareggio nel 1948 e le fa raggiungere la fama, sta lì a testimoniarci la sua ricchezza di sensibilità, come avvolta e sostenuta da una ricchezza di parole, da una capacità di immaginare e raccontare che diventano perfino eccessive, quasi barocche e si amalgamano con una sensibilità accesa, ridondante anche nella scrittura. I personaggi di questo romanzo sono tutti affascinati dai miti della nobiltà e della bellezza, sperduti in amori intricati e non corrisposti o non corrispondenti, e cercano di evadere dalla realtà attraverso la menzogna dei loro miti, appunto i sortilegi. L’ambiente meridionale, forse siciliano di fine ottocento, offre il contesto adatto a questo intrico di passioni mascherate di personalità nevrotiche, tratteggiate in maniera sapiente. A questa tematica di una vita sociale e psicologica contorta e sovrabbondante si adatta perfettamente lo stile, un linguaggio di grande tecnica artistica ma anche enfatico, quasi eccessivo nelle tonalità descrittive, tanto da fare pensare a una voluta esagerazione a scopo ironico. Natalia Ginzburg rimane affascinata dal romanzo, Pavese invece discute sempre con Elsa venuta a Torino perché non ne condivide idee e stile. Pensando alla severa asciutta scrittura di Pavese, non stento a credere che quella della Morante potesse essere veramente lontana dai suoi gusti.
La sua vita, intanto, è già pienamente immersa in un ambiente intellettuale: ha conosciuto Moravia nel 1936, lo ha sposato nel 1941 con matrimonio religioso imposto da lei, per quella sua fede ancestrale ed intensa come la sua scrittura. Nove anni dopo, nel 1957, ottiene ancora un premio: il prestigioso Strega, con la pubblicazione dell’opera L’isola di Arturo, ambientata a Procida, che lo scorso anno è stata proclamata Capitale della cultura per il 2022. Romanzo di formazione come lo era stato Agostino di Moravia, racconta il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza di Arturo, un ragazzo orfano di madre, con un padre misterioso e sfuggente che dopo periodiche assenze, gli riporta in casa come matrigna una ragazza popolana quasi sua coetanea, selvatica e onesta, Nunziatina. Il padre continua nelle sue misteriose assenze, che più tardi si scopriranno dovute a incontri omosessuali, e Arturo si avvicina sempre più a Nunziatina anche lei attratta ma che per onestà lo respingerà. Arturo intanto scopre i segreti del padre, si avvia alla vita adulta e abbandona Nunziatina che sarà anche abbandonata dal marito. Il pregio maggiore di questo romanzo, oltre al fascino delle descrizioni paesaggistiche, è la raffinata indagine psicologica sui personaggi.
Il romanzo più famoso di Elsa Morante è comunque senz’altro La storia che lei impose all’editore Einaudi di pubblicare in edizione economica. Il perché di questa scelta è determinato dall’intento ideologico di mostrare le sopraffazioni degli eventi storici sugli umili, un intento populistico definito rousseuiano che si manifesta nel delineare l’innocenza calpestata del mondo popolare (che la scrittrice aveva avuto modo di conoscere nella sua infanzia al Testaccio) e soprattutto nel dimostrare, con un atteggiamento quasi di rivolta contro ogni potere, come la storia opprima gli innocenti. L’ambientazione temporale è il periodo della seconda guerra mondiale, quella spaziale è la Roma popolare della guerra. Gli umili sono rappresentati dalla povera maestra vedova Ida Ramundo, dal giovane e un po’ bullo figlio avuto dal marito, Nino, e dal figlio Useppe che le nascerà per uno stupro subito da un soldatino tedesco. Ida è una figura vittima della guerra ma quello che colpisce di lei, come scrive Carlo Sgorlon, é il profondo senso della maternità. Per suo figlio arriva perfino a violare la sua naturale onestà e a rubacchiare. La figura più incantevole e più innocente del romanzo è quella di Useppe, il bambino che nasce da un incontro non voluto, fragile socialmente e fisicamente perché soffre di epilessia, che vive quasi tutto il giorno con la compagnia del suo cane Bella mentre la madre è a scuola. Useppe è un bambino innamorato della vita e del fratello maggiore Nino che morirà tragicamente. Le pagine che descrivono la sua morte, assistito solo dal fedele cane, sono molto commoventi e la scrittrice non manca di commentarne la profonda ingiustizia
Il successivo romanzo della Morante Aracoeli sembra tornare alle cupe e intricate atmosfere del primo periodo nella descrizione di un personaggio di donna quasi misteriosa: una bella ragazza andalusa che dopo una malattia diventa ossessionata dal sesso e che viene rievocata dalla ricerca del figlio Manuele. Questa atmosfera torbida e ombrata dal terrore della malattia sembra quasi preannunciare gli ultimi momenti di vita di Elsa, che dopo avere tentato il suicidio alla scoperta di essere gravemente ammalata, morirà nel 1985 .
Certamente Elsa Morante è stata una scrittrice di grande capacità narrativa e anche coerente nella sua variegata contestazione delle ingiustizie del potere ma, e questa è solo una mia opinione di semplice lettrice, forse una maggiore capacità depurativa degli eccessi sentimentali e stilistici avrebbe reso più efficace il suo messaggio.