Abito in via Guido Montauti di Teramo da quasi 35 anni e negli ultimi tempi ho spesso pensato di scrivere qualcosa su questo pittore, ma non essendo una storica nè una critica d’arte, cedevo di fronte all’insufficienza del linguaggio specifico e ai limiti della mia competenza artistica. L’ultima mostra visitata all’Arca però, dal titolo Guido Montauti, ho fiducia nella mia fantasia, ha rinfocolato in me il desiderio di omaggiarlo.
Visitabile da dicembre 2021 a maggio 2022, l’esposizione, curata da Ida Quintiliani e Umberto Palestini, ha seguito un percorso cronologico dagli anni ‘30 agli anni ‘70 (nato nel 1918, Montauti è morto nel 1979), quindi anche un percorso di maturazione umana e artistica. Il titolo trae spunto dalle parole stesse del pittore, riportate in una locandina : Ho fiducia nella fantasia e nel mio sprezzante mestiere per puntare verso una introduzione primigenia di elementi che mi dà certezza di approdo, schivo di eclettismo. E’ una dichiarazione di poetica, che va letta nel contesto in cui si trova inserita, subito dopo questo periodo : E’ per bisogno fortemente avvertito che tratto la figura umana, senza che mi pesi troppo addosso il riboccante bagaglio culturalistico il quale – mai come oggi – ha elargito leccornie a tutto il mondo.
Un’arte, la sua, che da un’impronta fortemente naturalistica e apparentemente primitiva, come a volte è stata definita, tende a fondere l’uomo nella natura, a curvare le linee nella dimensione antropologica o a seguirle in una successione obliqua e cromatica fino alla metamorfosi segnica. Dal microcosmo primigenio della sua Pietracamela in cui si colloca l’esperienza figurativa del cosiddetto Pastore bianco, il gruppo fondato nel 1963 con Alberto Chiarini e altri pittori insieme al pastore Bruno Bartolomei, la sua arte si allarga al macrocosmo attraverso il contatto con altre culture europee e con altre città italiane, sicuramente traendone succhi e spunti fecondi, al di là di quello che lo stesso Montauti voglia ammettere. Nelle pitture rupestri delle grotte del Segaturo presso Pietracamela, culmina la ricerca pittorica del gruppo del Pastore bianco dove confluiscono anche le modalità stilistiche precedenti che aprono nello stesso tempo a nuove prospettive e nuove forme.
Bruno Corà vi ravvisa una modalità esecutiva ridotta all’essenziale dal punto di vista delle forme e del colore, con una dirompenza nel panorama di quegli anni a dir poco inedita. La spazialità della natura e delle figure procede secondo andamenti prospettici e alternanze cromatiche essenziali o ridotte a pochissimi colori.
La ricerca successiva dell’artista sarà tutta improntata alla minimizzazione della linea, del colore, del segno, fino all’essenzialità espressiva, all’elementarità della sintesi forma – colore.