La figura di Matilde Serao ha un particolare interesse anche per sue sorprendenti affinità con una attività oggi piuttosto estesa tra gli intellettuali ma dominante anche in altri campi sociali, che è quella della comunicazione giornalistica . E anche per questa caratteristica sarebbe impossibile analizzarla senza fare un esame, anche se per linee generali, dell’ambiente culturale e, soprattutto giornalistico, di Napoli in quel periodo.
L’ambiente di Napoli sul finire dell’Ottocento era molto movimentato, ricco di arte e cultura ma anche socialmente turbolento e contraddittorio: il popolo minuto viveva nella miseria assoluta e le classi agiate si disinteressavano dei problemi sociali, oscillando tra la nostalgìa per i Borboni e le simpatie per i Savoia. Sul piano culturale, in questa città decaduta, dopo l’Unità, da capitale del regno a città quasi di provincia, esisteva una vistosa divaricazione tra la vitalità del pensiero filosofico e il ritardo della produzione letteraria che rimaneva legata a un realismo istintivo, poco sorretto da una riflessione teorica. Per quanto riguarda la cultura filosofica, basterebbe ricordare come molti degli intellettuali esuli per motivi ideologici durante il dominio borbonico, rientrati dopo l’Unità, svilupparono in intelligente adeguamento alle nuove realtà un robusto pensiero filosofico legato alla grande sintesi di Hegel. Non erano tutti nativi di Napoli, alcuni erano anche abruzzesi ma nell’università napoletana si erano formati e in questa città tornarono. Pensiamo ai fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, a Francesco De Sanctis, a Luigi Settembrini. Alcuni, come De Meis e Pasquale Villari, pur rimanendo lontani, a Bologna e Firenze, mantenevano contatti con l’ambiente napoletano. Alcuni di questi intellettuali scrissero anche opere letterarie ma prevalentemente nel campo della memorialistica come Settembrini e De Sanctis, quindi in qualche modo proiettati verso il passato.
Sul nuovo presente con le sue contraddizioni di miseria e vitalità, con le sue decadenze e insufficienze sociali, non si applicò una produzione letteraria sostenuta da una robusta convinzione teorica e capace, come aveva fatto Verga con la Sicilia, di rappresentare nella particolarità reale del mondo napoletano l’universale della condizione umana. La letteratura che si rivolse a descrivere il mondo di Napoli fu una letteratura di consumo, povera di sostegno ideologico, e anche per questo fitta di stereotipi e priva di una profonda elaborazione formale. E tuttavia questa paraletteratura era capace di rappresentare con un realismo minuto gli aspetti della vita napoletana. Pensiamo ad esempio a uno scrittore umile e quasi incolto che fu però anche in un certo senso l’ispiratore di Matilde Serao, Francesco Mastriani. Mastriani fu autore di centinaia di romanzi di consumo che si collegavano al feulleiton, al romanzo d’appendice francese e sempre più nella sua produzione, pur con la grossolanità dei suoi strumenti stilistici, riuscì a dare un quadro del mondo popolano di Napoli. Nei suoi romanzi emergono i quadri dei bassi, dei mille mestieri di sopravvivenza inventati dalla fantasia del popolo napoletano e anche le vicende della camorra. I suoi romanzi ebbero successo non per meriti letterari ma perchè egli sapeva intessere la narrazione con effetti di thrilling e anche per il suo atteggiamento semplicisticamente populistico che vedeva una automatica corrispondenza tra la povertà e la virtù. Infatti nel suo romanzo Ombre le prostitute appaiono come martiri.
In una dimensione diversa, più colta, più rapportata alla cultura europea con il legame profondo all’idealismo di de Sanctis, Vittorio Imbriani cerca di rappresentare la vita, i valori e anche il linguaggio del popolo. Ma l’opera di Matilde Serao è più legata alla narrativa del Mastriani anche per la sua maggiore facilità di accaparrarsi lettori, un effetto al quale l’abile professionalità giornalistica della Serao non era indifferente. Del resto questa scrittrice, per le vicende stesse della sua vita, è completamente immersa nelle attività culturali della sua città, e i suoi legami familiari ne indirizzano e determinano anche i percorsi.
Il padre era un giornalista liberale che si era rifugiato in Grecia a Patrasso per sfuggire alla persecuzione dei Borboni e qui, facendo un modesto lavoro di insegnante, aveva conosciuto e sposato la patrizia greca Paolina Borely. Qui nacque Matilde e da qui solo nel 1860, col tramonto del dominio borbonico, la famiglia tornò a Napoli. Lì l’adolescenza e giovinezza di Matilde sono segnate dalla forte volontà di superare ostacoli oggettivi e soggettivi e, dopo avere lavorato per quattro anni come telegrafista, entra nel mondo del giornalismo. Le prime esperienze giornalistiche nella rivista Capitan Fracassa a Roma, il matrimonio con Edoardo Scarfoglio che era un audace innovatore nel campo della comunicazione, la conoscenza di D’Annunzio le danno la possibilità di entrare nel vivo non solo dei dibattiti culturali ma anche delle modalità operative della comunicazione a largo raggio, quella che si svolge attraverso i giornali. Lo dimostra anche l’attivismo con il quale sarà fondatrice di giornali, prima Il Corriere di Roma in collaborazione con il marito e poi Il Giorno in competizione con il marito stesso dopo la separazione.
Tra l’altro si dedica con fervore anche alle battaglie spregiudicate di opinione del marito e lo segue anche nelle disavventure giudiziarie per le numerose querele. Il marito la difenderà a sua volta anche dalle accuse di corrruzione ma più per convenienza propria che per solidarietà vera. Anche nel soggiorno romano Matilde si dimostra subito proiettata verso la rappresentazione realistica del mondo. La vita di Roma, soprattutto degli ambienti politici, viene rappresentata nei romanzi La conquista di Roma e Vita e avventure di Riccardo Joanna, dove si notano molti influssi dannunziani.
Il mondo della sua rappresentazione privilegiata è però Napoli. Napoli è rappresentata da lei attraverso l’inchiesta coraggiosa e appassionata de Il ventre di Napoli o come sfondo delle vicende del popolo napoletano, che è il vero personaggio delle sue novelle, nel romanzo Il paese di cuccagna, scritto dopo il ritorno a Napoli.
Le vicende della sua vita ci rimandano comunque l’immagine di una donna forte, aperta verso la vita e verso il mondo, generosa al punto di prendersi cura della figlia illegittima del marito, coraggiosa al punto tale da lanciarsi nell’avventura imprenditoriale della fondazione di un nuovo giornale dopo la separazione dal marito. La sua figura tozza mostrata dalle testimonianze fotografiche era ben lontana dal rappresentare un mito di attrattiva nelle linee estetiche dell’epoca, eppure la sua determinazione e anche una capacità di azione spregiudicata la aiutano a farsi strada.
La sua attività letteraria comincia già nella prima giovinezza sulla scia anche di una notevole ambizione ma c’è qualcosa di più profondo da esplorare: l’atteggiamento sociale determinato da una sua avversione ricambiata per gli ambienti mondani e da un interesse privilegiato per il mondo popolare (un atteggiamento criticato dal marito) e la irrefrenabile passione per il giornalismo. Sono anche queste le ispirazioni più attive della sua opera letteraria. Tra le sue opere più significative, che sono quelle del periodo, chiamiamolo così, veristico, non possiamo trascurare la lunga novella La virtù di Checchina, dove Matilde racconta con felicità descrittiva e con una benevola ironia le disavventure della semplice moglie di un medico rozzo e prepotente, la quale, corteggiata e affascinata da un nobile, non può corrispondere al suo amore non per una scelta virtuosa di fedeltà ma per la mancanza di piccoli oggetti (l’orologio-il biglietto da visita-il vestito) necessari per l’adulterio. Qui riesce a dare prova di quella capacità minuta di osservazione e descrizione che troviamo in forme più volutamente raffinate in D’Annunzio. Inoltre la pervasiva ironia con la quale esamina i tormenti piccolo-borghesi di Checchina sottrae questa narrazione al pericolo del patetismo che invece viene sfiorato nelle altre opere. Purtroppo la carenza di un solido impianto ideologico e letterario si rivela nella apparossimativa mescolanza dei punti di vista che oscillano da quello interno alla sensibilità di Checchina a quello moralistico dell’autrice (Di Caprio). Ma l’attività esploratrice del giornalismo è sempre lì a dare impulso alla sua scrittura.
Il ventre di Napoli è un reportage volutamente coraggioso di descrizione – denuncia della miseria napoletana e di quel misto di rassegnazione e fantasia che si manifesta nel gioco del lotto. Il pittoresco viene però drammaticamente evitato con la messa in evidenza dei danni del gioco.
Tuttavia la forte esigenza di aderenza alla vita che la Serao in persona riconosceva in sè la porta dopo sei anni da quel reportage ispirato anche dal Ventre di Parigi di Zola a proiettare in forma narrativa l’osservazione nel romanzo Il paese di Cuccagna. Qui l’osservazione della sacra nevrosi del gioco si incarna ad esempio nella doloroso incontro delle due sorelle. La mancanza del paradigma dell’impersonalità fa scadere nel patetismo la dolente pietas che Verga era riuscito a sollevare a documento di vita.
Nonostante i difetti presenti anche nello stile sommario e confuso che l’autrice stessa attribuiva alla sua avventurosa formazione e che il marito aveva causticamente bollato, non possiamo non riconoscere nell’opera di Matilde Serao un interessante documento di una vita generosa e coraggiosa e il merito di avere portato nei testi le piccole cose della vita quotidiana con incisività e passione. Forse anche per questo il giudizio di molti illustri scrittori dell’epoca fu lusinghiero. Noi a distanza di tempo possiamo forse pensare che anche Matilde Serao come altre donne scrittrici riesce in fondo a illuminare quell’altra faccia della luna oscurata e non illuminata neppure dal grande romanticismo che è rappresentato dai sentimenti che camminano nelle minuzie della vita quotidiana.
E questo non è un merito da poco nè per la cultura nè per la vita.