Le parole sono importanti – ammoniva Nanni Moretti nel film Palombella rossa. Le parole sono pietre – sentenziava il titolo del libro di Carlo Levi. Sono espressioni diventate virali, come si usa dire oggi nell’era digitalizzata, ma ormai banalizzate come il male. Bisognerebbe restituire la potenza semantica alle parole e credere nella loro traducibilità in fatti. Putin ha lanciato il nucleare a parole con la minaccia, l’America l’ha lanciato nei fatti alla fine della seconda guerra mondiale su Hiroshima e Nagasaki. E sappiamo tutti che con Zelensky c’è la Nato con Biden, cioè noi europei vincolati dall’Alleanza Atlantica a guida americana, che abbiamo rifornito di armi l’Ucraina la quale giustamente doveva difendersi dall’aggressione della Russia e dall’invasione del suo territorio.
Ma dobbiamo evitare che la guerra, speciale operazione militare come Putin costringe i suoi giornalisti a definirla, da difensiva si trasformi in un conflitto più ampio, che coinvolga le maggiori potenze mondiali in una escalation progressiva non più controllabile. Già l’Inghilterra si sta muovendo, altri stati, e non solo europei, si stanno preparando con armamenti ed esercitazioni pericolose ed allarmanti, mentre i segnali di pace stanno drammaticamente scomparendo e non si sentono più parole rassicuranti di una prospettiva di dialogo serio, di una volontà reale di sedersi ad un tavolo delle trattative. Naturalmente, parlo dei capi di stato e dei rappresentanti della difesa e delle istituzioni. I popoli, almeno in larga percentuale, vogliono la pace, organizzano sit in, manifestano in piazza, fanno cortei e maratone per chiedere a gran voce la cessazione del fuoco. Ma è una voce in genere inascoltata dai potenti che decidono nelle segrete stanze, e questo non mi stupisce più di tanto. Quello che mi meraviglia molto invece, anzi mi preoccupa moltissimo, è “la banalità del male”, la sua rappresentazione come fatto inevitabile, come normale fluire degli eventi verso un precipizio non eludibile, il tranquillo discorrere della terza guerra mondiale come sbocco che fatalmente ci attende, il rimbalzare della minaccia nucleare da una bocca all’altra come se fosse solo un’ipotesi improbabile. Ma la storia ci dovrebbe insegnare che nulla è impossibile in guerra e nemmeno improbabile, e uso il condizionale perchè dobbiamo purtroppo ammettere con Montale che la storia non è maestra proprio di niente.
Afferma Lucio Caracciolo su Limes: Quando cade il tabù atomico la mente si chiude. Il solo discettare di bombardamenti nucleari quasi fossero chiacchiere da bar è danno irreparabile. Banalizzare l’impensabile, volgere in convenzionale l’arma definitiva esclude il ragionamento. Abbrutimento collettivo che pagheremo comunque finisca il conflitto in Ucraina. (Limes n.2, 2022)
Esiste realmente il rischio crescente di uno scivolamento in un confronto diretto tra America e Russia, anche atomico, secondo gli strateghi nucleari e gli ex funzionari statunitensi, come riporta il New York Times in un editoriale, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha avvertito: La prospettiva di una guerra nucleare è ora tornata nell’alveo delle possibilità.
Allora non ci resta che far tornare nell’alveo delle possibilità una pace che si allontana sempre di più e sta quasi scomparendo dagli obiettivi dei belligeranti e quindi dalle prospettive nostre, se non vogliamo che prolungare la guerra con armi sempre più offensive fino alla vittoria dell’uno o dell’altro, come hanno dichiarato entrambi, significhi continuare a vedere morti e macerie fino alla distruzione delle nostre civiltà. E non ci sarebbero vincitori ma solo vinti, in un comune abbraccio di morte dei contendenti, con uno sguardo pieno di pietas che già nell’antichità Omero riservò non solo ad Achille ma anche ad Ettore, eternato dal Foscolo nella conclusione di I Sepolcri: E tu onore di pianti, Ettore, avrai, / ove sia santo e lacrimato il sangue / per la patria versato, e finchè il Sole / risplenderà su le sciagure umane.