Penso che possa essere utile raggruppare su due nuclei l’attenzione: sui movimenti più importanti dal punto di vista storico-sociale e soprattutto culturale e, in particolare, sulla evoluzione della scrittura femminile.
Per quanto riguarda gli avvenimenti non si può non tenere conto di quello che ha rappresentato la seconda guerra mondiale con la fine della dittatura e la nascita dell’Italia repubblicana. Dalla fine degli anni quaranta fino agli anni settanta si svolge una fase di sviluppo economico rapido nel quale si afferma il neocapitalismo con risultati sorprendenti che in Italia fanno parlare di miracolo economico o di boom. Connessa a questa fase economica in Italia si svolge una trasformazione radicale anche della società, nelle masse giovanili, nello spostamento dei lavoratori dal sud al nord, e anche nel mondo della cultura. In relazione agli squilibri dei cambiamenti, si arriverà poi alla contestazione della fine degli anni ’60 con il movimento europeo del ’68.
Sul piano letterario in Italia, dopo le prime esperienze di anteguerra di collegamento con la cultura europea attuate dalla rivista Solaria e dopo la breve ma intensa stagione della narrativa e anche del cinema neorealisti del dopoguerra, si sviluppa lo sperimentalismo con una volontà di rottura dagli schemi del passato (Officina-Pasolini-Il Verri) con un forte collegamento alle esperienze europee del primo novecento.
Nei primi anni settanta cominciano ad estinguersi le lotte (anche se nel ’77 ci saranno quelle terribili del terrorismo) e insieme con un periodo di stagnazione economica (crisi petrolifera del ’73-restrizione dei consumi-società dei sacrifici), un ritorno all’ordine. L’unica forza innovativa in questo periodo è rappresentata dalle conquiste delle donne (diritto di famiglia )
Anche sul piano letterario c’è un cambiamento: viene meno la sperimentazione e si ritorna al recupero della narrativa. Successivamente la globalizzazion e le novità produttive determineranno altri e variegati cambiamenti che non rientrano nella visuale delle scrittrici da esaminare.
Cosa succede della scrittura femminile? Ora il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha senz’altro creato un loro più stretto rapporto con le varie forme della cultura anche attraverso l’ espansione dell’istruzione scolastica. Inoltre, la più capillare organizzazione dell’attività editoriale (è particolarmente significativa a questo proposito l’attività della casa editrice Einaudi che, partita da tematiche economiche, si orienta sempre più verso narrativa, saggistica e poesia di respiro internazionale) permette una più decisa democratizzazione della cultura e nuove opportunità anche per le scrittrici. Le donne quindi leggono ma anche scrivono di più e non sono costrette come una volta alla letteratura d’appendice, di puro svago, ma si confrontano sull’esempio di scrittrici europee come Virginia Woolf, anche con tematiche alte. Eppure la scrittura femminile conserva caratteri propri: la predilezione per le indagini psicologiche che troveremo ad esempio in Gianna Manzini, l’analisi della vita familiare soprattutto evidente negli scritti di Natalia Ginzburg, l’espressione dei sentimenti concreti della vita anche nella storia come fa Elsa Morante. In tutte le scrittrici dell’epoca, da Fausta Cialente ad Anna Banti, da Anna Maria Ortese a Maria Bellonci, è la concretezza della vita vissuta che viene esplorata nelle sue pieghe infinite. Anche quando ci si occupa di figure storiche come fa Maria Bellonci.
Mi soffermo ora su Natalia Ginzburg. Nell’analizzare la sua scrittura, non si può prescindere da due elementi: il suo contesto familiare e la sua attività nella casa editrice Einaudi accanto a personalità importanti come Pavese, Vittorini, Norberto Bobbio eccc.
L’ambiente familiare di Natalia nata Levi ma che poi, nel firmarsi, assumerà per sempre il cognome del primo marito, il professore di letteratura russa Leone Ginzburg, morto a pochi anni dal matrimonio avvenuto nel 1938, quando lei aveva appena 22 anni. È un ambiente di colta borghesia caratterizzata dall’appartenenza all’origine ebraica e dalla personalità anticonformista del padre Giuseppe, professore universitario di anatomia di origine triestina, poi insegnante a Palermo dove Natalìa nasce, e infine approdato a Torino dove i cinque figli si formeranno. Lì Natalìa, dopo una formazione primaria nell’ambito della famiglia, si iscrive al famoso liceo D’Azeglio che sarà una fucina di grandi intellettuali e poi alla facoltà di lettere senza peraltro mai laurearsi. Conoscerà tra le frequentazioni dei suoi fratelli il giovane ebreo studioso di letteratura russa Leone Ginzburg che sposerà nel 1938. Di Leone, nel famoso romanzo autobiografico “Lessico famigliare”, ci dà con la sua solita asciuttezza priva di ogni eccesso retorico un ritratto breve ma significativo. Il legame tra di loro è molto forte tanto che quando Leone, che aveva aderito al movimento Giustizia e libertà oppositore del fascismo sulla scia del liberalismo sociale di Gobetti, viene mandato al confino in Abruzzo, lei lo segue con i primi due figli. A L’Aquila nel ’40 nasce la figlia Alessandra. Qui vivrà per tre anni dal 1940 al 1943 .
Nella tranquilla vita di paese Natalìa ha modo di dedicarsi alla scrittura narrativa che già aveva intrapreso nella sua prima giovinezza. Sono del 1941 infatti sia il lungo racconto “Mio marito” che il romanzo breve “La strada che va in città”, pubblicato con lo pseudonimo attinto nel nome da quello della figlia e nel cognome da un paesetto vicino.Il romanzo è incentrato su figure di ragazze ansiose di ribellarsi al grigiore della vita di paese dove emerge la nostalgia del mondo della città. E la città, per la stessa ammissione della scrittrice, è nello stesso tempo Torino ma anche L’Aquila, la ragazza della quale si parla è un po’ lei stessa, un po’ una ragazza del posto, un po’ un’antica compagna di scuola. E’ insomma la vita nelle sue sfaccettature ad ispirarla, e negli stessi abitanti del posto lei sovrappone il ricordo dei fratelli e della madre che è, secondo quanto scrive lei, la destinataria ideale del racconto.
Sono quindi evidenti i due punti focali della narrativa anche futura: la famiglia e la memoria. La sua colta, anticonformista famiglia dominata solo apparentemente dalla presenza imponente del padre ma anche dall’allegra e solo apparentemente distratta influenza della madre Livia, è in sostanza il centro ispiratore non solo del più famoso libro Lessico famigliare che scriverà nel 1963 ma anche dei racconti precedenti Valentino, La madre, storie di donne incentrate su una solitudine affettiva che diventa tragica nei racconti E’ stato così e Le voci della sera, ispirato alla famiglia degli industriali di Ivrea Olivetti con la quale i Levi si imparentano
Intorno a questa famiglia, già ricca di personaggi intellettuali come il padre della madre, l’avvocato socialista Carlo Tanzi amico di Turati, il musicologo Silvio Tanzi fratello della madre e il critico teatrale Cesare Levi fratello del padre, ruota una serie di personaggi che diventeranno storici da Cesare Pavese a Filippo Turati, da Giulio Einaudi a Carlo Levi, a Giancarlo Pajetta. Con la storia progressista dell’epoca Natalìa convive fin da bambina ma la sua attenzione si rivolgerà soprattutto all’aspetto umano delle figure e degli eventi. E’ interessante per capire il suo ambiente vedere il ritratto affettuosamente ironico che lei fa del padre già all’inizio del romanzo. In questa famiglia colta, dotata delle virtù borgesi, Natalìa è cresciuta ed ha assimilato quella capacità di contemplare con acutezza ironica il mondo ma anche la forza morale di fedeltà agli ideali. La sua vita infatti non è tutta rose e fiori. Dopo la morte del marito nel ’44, catturato dai tedeschi e torturato nel carcere di Regina Coeli, lei va a vivere con i 3 figli prima nel convento delle Orsoline al Nomentano poi a Firenze presso una zia materna e torna a Roma dopo la liberazione, ma dovrà mettersi a lavorare per mantenere i figli e viene assunta nella giovane casa editrice Einaudi nella quale collaborerà con Pavese e Vittorini.
Anche la sua ispirazione dominante di memoria trova l’approdo letterario nel romanzo del ’63 Lessico famigliare che incontrerà molto successo di pubblico e avrà il premio Strega. E’ interessante notare come la stessa Natalìa, nell’Avvertenza alla prima edizione del romanzo, sottolinei quattro elementi costitutivi del libro: Luoghi, fatti e persone sono, in questo libro, reali:non ho inventato niente…Anche i nomi sono veri. Ma c’è anche la trasformazione romanzesca della realtà: Benchè tratto dalla realtà, penso che si debba leggerlo come se fosse un romanzo e cioè senza chiedergli nulla di più, né di meno di quello che un romanzo può dare. Inoltre il riserbo autobiografico: Non avevo voglia di parlare di me. Questa difatti non è la mia storia ma piuttosto, pur con vuoti e lacune, la storia della mia famiglia. A me pare qui di scorgere proprio un tratto tipico delle donne che immergono sempre la loro individualità nel mondo delle relazioni. Infine lei confessa che questo progetto narrativo l’ha avuto fin dall’infanzia.
Tra i personaggi che popolano questo romanzo godibilissimo anche nel discorso narrativo emergono, oltre a quello del padre, dei fratelli (Mario, Alberto e Gino ) e della sorella, la figura di Adriano Olivetti che la aiuterà dopo la morte di Leone e che rappresenta un po’ i caratteri migliori degli Ebrei più ancora che quelli dei nonni. All’interno di questo romanzo convivono due registri linguistici: quello limpido e ironico della scrittrice che racconta e quello particolare della sua cerchia famigliare.
Questa centralità dell’interesse per la famiglia non diminuirà neppure nella vita e nella produzione successiva della Ginzburg. Nel 1950 Natalìa si sposa in seconde nozze con lo studioso anglista Gabriele Baldini, lo segue in Inghilterra, affronterà dopo la morte del secondo marito, che avviene nel 1969, l’impegno giornalistico e politico come deputata della sinistra indipendente ma il tema fondamentale del suo narrare è la dimensione privata scandita dai fatti elementari di vita, nascita, matrimonio, maternità, gioie e sofferenze, da quello che il critico Cesare Garboli chiama il rapporto psicologico con il mondo. Così nel romanzo “Caro Michele” la famiglia viene ancora rappresentata nei suoi drammi e nelle sue lontananze dei ritmi moderni, nella corrispondenza con questo figlio che vive e muore nella turbolenza degli anni ’70
Infine addirittura, l’esplorazione famigliare la ritroveremo anche nel romanzo saggio del 1983 La famiglia Manzoni dove la scrittrice, più che dedicare la sua attenzione al personaggio carismatico del grande scrittore, si rivolgerà nella sua esplorazione ai suoi rapporti familiari con asciutta e drammatica verità, mettendo a nudo anche l’egoismo dello scrittore verso la giovane figlia Matilde.
Natalìa anche nel teatro si dedica all’esplorazione dei sentimenti quotidiani, come nella famosa commedia Ti ho sposato per allegria del 1965 con quel suo asciutto e quotidiano parlare intriso di umanità e di ironia. Perfino in una delle sue ultime opere Serena Cruz o la vera giustizia ispirato a un dibattuto fatto di cronaca, affronta un dramma familiare, quello di una bambina contesa tra madre naturale e madre adottiva. In un certo senso, attraverso le sue tematiche quotidiane e perfino nel suo linguaggio apparentemente spoglio ma appreso con Pavese alla scuola dei narratori americani, possiamo dire che nell’opera di Natalìa Ginzburg la vita quotidiana assume significato e valore di storia