Oggi procederemo su una falsariga di sicuro riferimento grazie alla quale portare avanti il nostro discorso relativo alla lettura di un’opera d’arte con la speranza di non formulare giudizi troppo arbitrari. Il nostro punto di appoggio sarà, nientemeno che, Giotto.
Partiamo ora da un punto essenziale che è quello di lasciare libero colui che guarda e libera l’ espansione del suo gusto, che può prescindere dalla grandezza dell’opera e partire da una subitanea emozione, senza pensare tanto al resto. E’ chiaro che potrà giungere a giudizi spesso avventati.
Questa possibilità si apre più di frequente nei confronti dell’arte moderna, particolarmente quella astratta, mal giudicata perché raramente conosciuta a fondo, mentre la stessa è un frutto complesso che prevede, da parte di chi vuole esprimersi attraverso di essa, studio, ricerca e travaglio del pensiero, oltreché capacità di segno.
Quella che noi chiamiamo “arte moderna” e che ricomprende stili, movimenti e idee molto disparati, sostanzialmente non fa che aprire la pittura all’espressione dell’interiorità e questo avviene mediante la trasformazione della realtà stessa, con reinterpretazione degli spazi e ricorso a tecniche complesse.
Solo la presenza di queste prerogative fa sì, esemplarmente, che Mondrian sia Mondrian e un improvvisato astrattista sia solo un versatile scarabocchiatore.
Ma cominciamo a muovere i passi da una attenta osservazione rivolta, come si diceva, a Giotto, il primo, grande rivoluzionario dell’arte italiana.
In tutta umiltà, preleveremo, dalla Cappella degli Scrovegni di Padova, il celebre “Compianto sul Cristo morto” e ne faremo un’analisi, per così dire, spaziale densa di significati. Cercheremo il movimento e i suoi rapporti con quanto esso è chiamato a significare.
L’affresco, notoriamente, parla di morte e preludio di resurrezione. Ma la morte richiama un concetto di orizzontalità definitiva, cosa che non si trova nella posizione del corpo di Cristo, il quale, essendo fra le braccia della madre, assume piuttosto una posizione obliqua che quasi lo anima. Ancora, le sue braccia, sollevate dall’altra figura femminile, fanno pensare a qualcuno che stia per alzarsi. E’ una voluta preparazione al concetto fondamentale, anche se qui non rappresentato, che è quello di risveglio, di resurrezione, e non solo di Cristo ma, in lui, dell’intera umanità.
Lo spazio occupato da Gesù non è quindi orizzontale ed il significato consegnato a ciò è proprio che la sua morte non è definitiva.
Le colline di sfondo, a loro volta, poste in semi diagonale, salgono e vanno a significare, anch’esse, vita.
Nelle due figure dritte, verticali, i due santi in piedi sulla destra, e nell’alberello della resurrezione, questo cammino di ritorno dalla morte ha il suo culmine. L’albero protende i suoi rami in tutte le direzioni e, intanto che il movimento e lo sguardo si innalzano, esso sembra smaterializzarsi, spandersi nello spazio divenendo simbolo di universalità.
Gli angeli, per contro, creature celesti ma non preveggenti, volano nel cielo come uccelli spaventati e osservandoli si avverte una disperazione corporativa, come fossero un “unicum” espressivo. Alla loro vista Cristo, fra le braccia della madre, è morto. Questo scoppio emotivo dall’alto viene spazialmente equilibrato dalla pacatezza immobile delle due donne senza volto, accovacciate sul fondo.
Guardiamo ora, sempre attraverso la curva del movimento, le fasi del dolore espresso dalle figure umane. Esso ha inizio nella donna a mani giunte sulla sinistra, continua in quella che le sta accanto, scende sulla Vergine per riprendere sulla figura accoccolata all’angolo di destra, presumibilmente Maria Maddalena. Risale poi verso l’alto con grande tensione emotiva e, passando per la donna che tende le mani al morto, culmina su S. Giovanni, disperato, a braccia spalancate. Ma ecco che, mentre l’espressione del dolore si porta al massimo, nasce, quasi invocato dalla mano sinistra dello sconvolto giovane, un rasserenamento improvviso, siamo al culmine della climax ascendente.
La linea del movimento si impenna, ora è totalmente verticale, ma il suo significato cambia totalmente: i due uomini sereni, in contemplazione, indicano, al di là della tragedia temporale, il valore eterno del sacrificio di Cristo e sono in diretto rapporto di verticalità e di significato con l’albero nascente, il virgulto di Esse, Cristo, il Redentore, il garante dell’immortalità dell’anima-
In sintesi, se vogliamo comprendere un’opera d’arte, sia da un punto di vista di contemplazione intuitiva sia attraverso una migliore conoscenza, dobbiamo guardare ad un insieme di cose, fra cui le famose “forze”, di cui tante volte abbiamo parlato, che sospingono il tema, e afferrare di esse l’intervento e la dinamica.
Per ciò che ci siamo prefissi all’inizio, parleremo ora brevemente di Piet Mondrian, grande artista, collegato e poi scollegato da tutti i movimenti presenti nella sua epoca. E’ lui che, molto più tardi del grande maestro duecentesco, e molto più di tanti altri, potrà farci capire come l’indagine di un’opera e il senso profondo della stessa, ci restituiscano, così come abbiamo voluto portare ad esempio, la stessa dinamica di Giotto.
Lo mostriamo in “Composition” N. 8 , della Collection Gemeentemuseum, L’Aia.
Qui Mondrian esprime la “plastica” pura della realtà che non può rappresentarsi se non nell’equilibrio del “movimento” di forma e colore, e lo fa usando i mezzi più elementari: linee verticali e orizzontali che formano incroci apparentemente uniti ma distaccati e indipendenti, ubbidendo alla volontà di ciò che sono chiamati ad esprimere.
Così Mondrian segue il moto del cielo, delle nuvole, della natura, che sente pacifica, immensa. Ne riproduce l’essenza. Le linee orizzontali e verticali sono espressione di due forze che si contrappongono e che, esistendo, dominano qualunque cosa. La loro coazione costituisce la vita.