Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, nato il 5 marzo 1922, ripropongo questo mio articolo pubblicato su La tenda cartacea nel 2015.
Stanislao Nievo, scrittore scomparso nel 2006, pronipote del più famoso Ippolito, definiva i parchi letterari «gli angoli magici, i luoghi dell’ispirazione di grandi autori e poeti». In essi, infatti, si ha come l’impressione di evocare i passi delle loro opere, di scrutare nelle pieghe più recondite del loro pensiero, come se respirare quella stessa aria aiutasse a stabilire una più intensa corrispondenza di amorosi sensi.
Il parco letterario dedicato a Pier Paolo Pasolini sorge nel luogo in cui fu ucciso il 2 novembre 1975 , l’idroscalo di Ostia, dove è stato collocato un monumento realizzato dallo scultore Mario Rosati raffigurante una colomba dalle ali librate verso il cielo con la luna nel mezzo, su una stele di marmo spezzata. Simbolica allusione ad una vita poetica anelante alla libertà, tragicamente interrotta. Intorno, nel 2005 è sorto un vero e proprio giardino letterario con percorsi culturali e naturalistici, segnati da targhe commemorative su marmo che riportano frasi dello stesso poeta, tra cui mi piace ricordare i versi tratti da Il pianto della scavatrice (della raccolta Le ceneri di Gramsci ) : “Solo l’amare, solo il conoscere/ conta, non l’aver amato, /non l’aver conosciuto. Dà angoscia/ il vivere di un consumato /amore”. Nel territorio del parco, è stata istituita un’Oasi naturale protetta, da cui si diparte la Riserva Naturale Statale Litorale Romano, la più ampia d’Italia, che comprende le pinete di Castelfusano e Castelporziano (tenuta del presidente della Repubblica), le dune di Capocotta, la pineta delle acque rosse, i canali detti “piscine”, le zone golenali del Tevere, attorno ad Ostia Antica e al borgo medioevale di Gregoriopoli.
Tra le dune costiere e sulle rive del Tevere e dell’Aniene, pare avvertire l’eco del romanesco delle borgate romane, dialetto utilizzato con la dignità letteraria da Pasolini nei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, e nei primi film, Accattone e Mamma Roma. Nato a Bologna nel 1922, dopo l’infanzia trascorsa in varie città del Nord per il lavoro del padre, ufficiale dell’esercito, con ritorni continui nel paese friulano della madre, Casarsa, dove soggiornò nel periodo della guerra, Pasolini approdò a Roma con la madre nel 1950, in seguito ad una denuncia di corruzione dei giovani, legata alla sua omosessualità, condizione che peraltro lui stesso dichiarava apertamente, in una società retriva e piena di pregiudizi. Le sue pril 5 Marzo 1922ime creazioni artistiche furono poesie in dialetto friulano, Poesie a Casarsa (confluite poi nella raccolta La meglio gioventù), cui seguirono le raccolte in lingua Le ceneri di Gramsci, L’usignolo della Chiesa Cattolica, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar.
Al dialetto il poeta tornò non solo nei romanzi e nei film ambientati nelle borgate romane ma anche nel film tratto dall’opera di Boccaccio, Il Decameron, con l’espressività del napoletano. Per lui, infatti, come osserva il critico Gianfranco Contini, il vernacolo non ha il valore di documento veristico o neorealistico ma il significato simbolico e decadente di una autenticità primigenia, di un mondo mitico primordiale con valori ancestrali, positivi e negativi, virtù e vizi, precedenti alla corruzione del “progresso” della società consumistica ed edonistica. La colpa della società “del benessere”, che Pasolini definisce “la colpa dei padri” da espiare come nel mito della tragedia greca (es. Tieste ed Atreo), non è nel fascismo, nè nell’antifascismo ( che è anch’esso una forma di fascismo nelle imposizioni) ma nell’avere creduto che l’unica storia possibile fosse quella borghese, passando così da una condizione di proletariato e sottoproletariato rurale ed operaio allo status di borghesia.
Lo scritto introduttivo alle Lettere luterane, (articoli pubblicati sul Corriere della sera e Le monde nel 1975), dal titolo I giovani infelici, è un vero atto di accusa contro questa“mutazione antropologica”su cui egli tornerà con insistenza negli Scritti corsari, (articoli pubblicati sul Corriere della sera tra il 1973 e il ‘75), ritenendo la televisione lo strumento mediatico responsabile del fenomeno di perdita o corruzione delle identità personali. In un articolo del 9 dicembre 1973, Pasolini afferma che essa ha realizzato ciò che neppure il fascismo è riuscito a fare, perchè mentre questo si è fermato all’esteriorità, quella si è impossessata anche delle anime. L’attività di polemista, giornalista e saggista aderisce perfettamente al suo spirito indipendente, libero da pregiudizi,“corsaro”ed eretico, com’è stato definito, appunto per il coraggio di prendere parte nello scenario socio-politico-antropologico italiano senza allinearsi ad altri intellettuali e all’opinione corrente.
Ci sorprende nelle sue posizioni di non allineato, intellettuale non organico, ma ci sorprende anche rispetto alle sue stesse affermazioni e scelte precedenti, collocandosi magari da una parte diversa da dove ce l’aspetteremmo. Ad esempio, in Empirismo eretico (raccolta del 1972 di scritti su lingua, letteratura e cinema), è pubblicata una sua poesia civile , Il PC ai giovani, che si rivolge ai giovani contestatori del ‘68 accusandoli di conformismo perchè sono borghesi “figli di papà”: negli scontri con i poliziotti, i veri figli degli umili e dei poveri sono i poliziotti, ai quali il poeta si sente vicino e con i quali si schiera.
Ma l’attività che come un filo conduttore percorre tutta la vita artistica di Pasolini fu quella di poeta, dai primi versi composti nell’infanzia a quelli degli ultimi anni, sebbene interrotta ed inframezzata da tutte le spressioni artistiche: pittore da ragazzo, studioso dello stile di Bach e della musica classica in genere, romanziere e narratore, regista e sceneggiatore con capolavori definiti osceni come Salò o anche “religiosi” come Il vangelo secondo Matteo. Sperimentatore continuo di tutte le arti ma anche artista della contaminazione di tutti generi d’arte, di poesia e di metrica, uomo della contraddizione di temi sospesi tra carne e cielo, virtù e vizio, ingenuità e corruzione, uomo capace anche di abiura delle sue stesse opere (abiurò la Ttrilogia della vita negli ultimi anni).
Ci ha lasciati nel dubbio anche con la morte: delitto a sfondo sessuale opera di uno solo o delitto dalla matrice politica opera di più persone? L’articolo degli Scritti corsari datato 14 novembre 1974, in cui egli afferma di sapere i nomi dei mandanti delle stragi degli anni di piombo; la confessione di Pelosi dopo l’uscita dal carcere; il furto del capitolo Lampi sull’Eni dal manoscritto di Petrolio, romanzo incompiuto pubblicato postumo che faceva luce sul delitto Mattei, oggi portano a prendere in considerazione anche la seconda ipotesi.