Sembrava impossibile che accadesse veramente dopo 80 anni di pace in Europa, eppure la Russia ha invaso l’Ucraina inseguendo un progetto egemonico da impero zarista che ci rimanda alle strategie e ai metodi di guerra del passato (assedio
delle città come nei popoli antichi o nel medioevo). La Russia, con la Cina, gli Usa e pochi altri paesi è fornita di un arsenale atomico e un armamentario moderno che fanno paura (proibito ma devastante: bombe a grappolo sui civili, bombe Termo
bariche). L’Esercito russo può provocare danni atomici inimmaginabili bombardando le centrali nucleari dell’Ucraina (Cernobyl insegna).
La Russia è inoltre guidata da un magnate circondato da autocrati senza scrupoli, che hanno condiviso – così risulta – la minaccia contro chiunque volesse intervenire dei paesi della vecchia Europa. I parlamentari italiani hanno ricevuto una lettera minacciosa per le conseguenze dell’adesione al fronte occidentale e l’invio di armi.
Tra i cittadini europei si è diffusa un comprensibile panico che ha preso il posto – senza scalzarla – di quella che da due anni viviamo nei confronti della pandemia. E’ indicibile lo sconcerto di fronte al ripetersi di una storia che credevamo sepolta e a
capi di Stato che, in un mondo globalizzato, prendono decisioni mortali in solitudine, guidati freddamente da pure logiche di potere. L’angoscia del disorientamento si diffonde come un virus peggiore del COVID 19 e sembra attaccare la speranza, la
gioia, la fede.
Di guerra si parla ovunque, pur sapendo di non avere sufficienti informazioni per conoscere i reali piani di Putin, i contenuti dei negoziati, l’efficienza degli armamenti offerti agli ucraini… Il passare dei giorni acuisce l’angoscia. Fino a
quando Putin sopporterà una resistenza che gli impedisce di raggiungere i suoi obiettivi ‘di pace’? Possiamo immaginare che le parti addiverranno a più miti consigli? Sarà possibile individuare mediazioni soddisfacenti o almeno non troppo
penalizzanti per entrambe le parti?
Putin ha indubbiamente fatto errori di previsione. Non immaginava la resistenza, la compattezza di Europa, Stati Uniti e Nato, il sollevamento delle piazze in Russia, la condanna dell’Assemblea dell’Onu (141 salvo i 5 paesi filo Putin e
l’astensione di 35 tra cui Cina e India). La sua tracotanza poggia sulla sproporzione delle forze e su una vittoria militare data per certa, anche se in tempi non brevi.
Pensare alla sconfitta dell’Ucraina è realistico; pensare alla sua vittoria è un’aspirazione dal sentore di sogno. In ogni caso, per quel che abbiamo visto dello spirito di resistenza del popolo, la guerra non finirà. Putin vittorioso dovrà vedersela
con l’opposizione della gente nella vita di ogni giorno. Putin sconfitto – o che si percepisce tale – preparerà mille rivincite.
Il nemico da una parte e dall’altra non andrebbe umiliato e messo all’angolo né prima né durante né dopo la guerra.
C’è qualcosa di buono? Innanzitutto la solidarietà: si aprono finalmente all’accoglienza dei profughi Stati che finora erano impegnati ad alzare muri. Che dire poi del sentimento di appartenenza? Ci sentiamo più europei di fronte all’attacco
subito da un paese vicino e di fronte alle decisioni prese di comune accordo sul pacchetto di sanzioni, soprattutto perché raggiunte in una settimana (sarà una lezione di unità anche per i parlamentari italiani?). C’è poi la fede: nell’incertezza del futuro sembra essersi rafforzato l’affidamento a Dio (mi scuso con i non credenti), che aborrisce il male e la violenza, l’uccisione e la morte degli innocenti. Ci siamo sentiti uniti al di là di ogni divisione pure legittima, con quanti il 2 marzo in tutto il mondo hanno saputo chiedere con la forza della preghiera e del digiuno: “Dona nobis pacem”.
Un corollario: lasciamo libera la cultura di viaggiare oltre gli Stati. Perché prendersela con gli autori della letteratura, gli artisti, gli atleti paraolimpici?
Facciamo sentire anche al popolo russo amore e solidarietà: non sono i russi i nemici, ma l’autocrazia putiniana.