Teramo sotto la dominazione borbonica era una piccola città di confine, ultima provincia del Regno delle due Sicilie, lontana dalla capitale partenopea; eppure nell’età illuministica si sentì il bisogno di avere un teatro. Così nel 1792 sorse un teatro, attiguo alla casa cinquecentesca dei Corradi – dal cui casato inizialmente derivò il nome – , che raccoglieva intorno a sé anche un circolo culturale. Dopo l’unità d’Italia venne costruito il teatro Comunale, su progetto dell’architetto Nicola Mezzucelli (ideatore anche di quelli di Atri e Chieti), e inaugurato nel 1868 con la rappresentazione di Un ballo in maschera di Verdi.
Il teatro era costituito da tre ambienti: l’ingresso, molto modesto e di piccole dimensioni, una sala con 56 palchi, una platea, un loggione con palchettoni laterali per un totale di 608 posti, un palcoscenico dalla superficie di mq.180, con sette camerini e uno spogliatoio.
Nella seconda metà dell’Ottocento fu molto vivace l’attività artistica, sia in musica sia in prosa, ma perse importanza con l’avvento del cinema. Il teatro non era più in grado di interpretare il gusto del pubblico e di suscitarne il consenso, e scivolava in una situazione sempre più precaria. Infatti poco distante dal Comunale sorse, nel 1909, un nuovo e moderno edificio in stile Liberty, ad opera di Cugini e Vanarelli, amanti delle nuove tecniche di rappresentazione: il cinema Apollo, che per molti anni sarà un’istituzione molto importane per la cultura locale. L’attrazione verso il nuovo tipo di spettacolo portò inevitabilmente al declino del teatro comunale di Teramo, e al suo abbattimento meno di un secolo dopo la sua edificazione.
Nel secondo dopoguerra, dopo il mutamento istituzionale, in concomitanza con l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, i provvedimenti economici assunti dal ministro del bilancio Einaudi permisero di sanare la grave situazione italiana, ottenendo la stabilità della moneta e l’avvio di quello sviluppo che porterà al boom economico. Ma la ripresa non fu omogenea sul territorio nazionale, infatti alcune regioni rimasero ancora legate ai vecchi schemi economici; ciò unitamente all’incremento demografico portò, tra la metà e la fine degli anni ’50, ad una notevole domanda lavoro. In tale situazione si sviluppò un imponente flusso migratorio verso il Belgio, la Svizzera, il Venezuela, o verso altre regioni italiane.
La provincia di Teramo all’inizio degli anni ’50 era ancora una zona “povera” e la città capoluogo era rimasta quasi totalmente agricola, con uno sviluppo industriale quasi nullo; una città, peraltro, lontana dalla costa e priva di grandi vie di comunicazione. Così mentre l’Italia era investita dal boom economico e iniziava l’era del consumismo, Teramo era ancora immersa in un clima di arretratezza e conservatorismo, come denunciava la cronaca Abruzzese su Il Tempo del 3 Aprile 1957. Di ciò si rendevano conto ormai tutti, l’opinione pubblica, gli operatori economici, la classe politica. Già nel 1944, dopo la ricostituzione della Camera di commercio, si era cercato di risolvere il problema della viabilità, cercando il collegamento con la capitale, tramite l’ipotesi di una linea ferroviaria Roma – L’Aquila – Teramo, ipotesi a lungo ferma sui tavoli della burocrazia romana che osteggiò il progetto.
Ma la crisi era particolarmente pesante in ambito culturale, infatti non si riuscivano a reperire fondi per le istituzioni culturali che, in particolare il teatro Comunale, andarono incontro a varie restrizioni organizzative. Non fu possibile mettere in scena molti spettacoli teatrali e i pochi che furono allestiti appartenevano solo a un repertorio di genere “leggero”. In quella situazione il Comune di Teramo aveva permesso l’utilizzo del teatro come sala cinematografica, ma ciò era considerato un pericolo per la stessa incolumità strutturale del Comunale, poiché si veniva a creare un’affluenza di pubblico maggiore rispetto all’effettiva capienza del luogo. Nessuno, né l’amministrazione comunale, né il titolare a cui era stata concessa la gestione, si preoccupò in alcun modo della manutenzione dell’edificio. Vi fu chi parlò di restauro, ma le voci di coloro che auspicavano la preservazione dell’immobile furono minoritarie rispetto alle idee che agitavano l’opinione pubblica. La massa popolare desiderava, infatti, il “nuovo” cioè tutto ciò che era sinonimo di modernità e di progresso per allinearsi al boom economico degli anni ‘60. I cittadini, l’opinione pubblica, l’amministrazione, vedevano nell’apertura dei grandi magazzini un’occasione di rinnovamento e miglioramento economico; espressero perciò un generale consenso all’iniziativa del Comune di demolire il vecchio edificio del Comunale, ormai abbandonato a se stesso, per dare vita a una nuova struttura in cui collocare i “magazzini a prezzo fisso”.
In due sedute il Consiglio comunale e la giunta avevano approvato il progetto di demolizione del vecchio edificio, e la successiva edificazione di uno stabile, che avrebbe ospitato sia un nuovo cinema – teatro sia i magazzini Standa. Il 29 marzo 1958 la giunta comunale di Teramo si riunì per studiare il problema del teatro. Il progetto dell’ Ing. Mario Fumo e dell’Avv. Nicola Storto permetteva di risolvere due importantissimi problemi che stavano a cuore sia alla giunta che alla cittadinanza; consentiva, infatti, da un lato la creazione di un moderno cine-teatro, dall’altro di disporre di idonei locali nei quali sarebbero stati collocati i magazzini Standa. Il 12 maggio del 1959 venne stipulato il contratto con la S.T.A.N.D.A., che prevedeva che lo stabile fosse “fin dall’origine” proprietà del Comune e che la S.T.A.N.D.A. versasse nelle casse comunali per l’affitto dei locali £ 4.800.000 annue a condizione che l’ingresso venisse posizionato sul Corso S. Giorgio e non in piazza Benvenuto Cellini, come era stato precedentemente accordato.
Il 18 maggio 1959 il sindaco, Carino Gambacorta, riunì la giunta perché votasse il nuovo accordo, che teneva conto di alcune varianti concordate. Vennero elencati, ancora una volta, i vantaggi che avrebbe arrecato la S.T.A.N.D.A. all’intera cittadinanza. La demolizione del vecchio stabile venne deliberata con 23 voti favorevoli e 2 contrari su 25 consiglieri presenti; in particolare si dichiarò fortemente contrario l’ing. Martegiani, che aveva propugnato il restauro del teatro. Il 30 Novembre 1959 la cittadinanza assistette al primo colpo di piccone sul muro del memorabile Teatro Comunale. La decisione dell’amministrazione comunale fu facilitata da un’opinione pubblica favorevole all’abbattimento del teatro per costruire al suo posto i grandi magazzini . Soluzione questa ritenuta ideale per portare all’interno della società una boccata d’aria fresca e per eliminare il vecchio, l’antico, considerato in quel momento inutile ed ingombrante.
Il 1959 fu l’anno dei magazzini Standa e della fine di un pezzo di storia cittadina: era il “vecchio” che lasciava posto al “nuovo”. L’entusiasmo fu tale che nessuno, o quasi, si rese conto che i grandi magazzini avrebbero preso il posto del vecchio teatro comunale, e che l’abbattimento del teatro avrebbe privato la città di uno degli edifici più belli. Occorre tener presente però che negli anni ’50 più del fascino culturale era avvertito il bisogno di sicurezza economica, ed era vivissima l’aspirazione di un diffuso miglioramento delle condizioni di vita, specialmente fra le classi popolari. Senza contare che in quel momento di espansione demografica in una città come Teramo, da cui partivano schiere di emigranti, si sentiva il bisogno di istituire nuove e più importanti opportunità lavorative in loco. L’esigenza più sentita era, infatti, quella di avere dei magazzini a prezzo più competitivo, alla portata della massa popolare, e insieme la necessità di creare posti di lavoro.
Negli ultimi decenni si è deprecata la demolizone di un teatro che tanta parte ha avuto nella vita culturale della città e che oggi potrebbe esserne un vanto, come avviene per altri teatri restaurati e oggi restituiti alla loro destinazione originaria.
Alla storica istituzione cittadina il poeta teramano Luigi Brigiotti dedicò una poesia:
TEATRO COMUNALE
Sobbre a stu palcusceniche n’arcorde de amicizie,
de celebre discurse fatte da Caie e Tizie,
e banghitte squesite pe li varie eccellenze,
e brindese magnifiche piene de fume e ‘ngenze,
e fra tande endusiasme, ‘mmezze a tand’allegrie,
oh! quande vasce, e abbracce, e arrivederce e addie.
⦁ I dati citati sono stati attinti dagli Archivi del Comune di Teramo.