La letteratura italiana presenta quasi costantemente nel rapporto con la donna un paradosso più evidente che in altre letterature: quello di presenza-assenza. Poesie e prose nelle Origini sono colmi di Beatrice, Laura, Becchina. Invadenti ma mute. E dopo non cambia molto. Anche nello splendore letterario del Rinascimento la presenza femminile continua a essere pensata e accettata come una costola dell’uomo, e le voci di Gaspara Stampa o di Vittoria Colonna possono parlare a patto di calarsi nel codice dominante. E’ nel’700 che qualche traccia nuova segna il cielo della letteratura anche perché allora in Europa si creano le condizioni più favorevoli per riscoprire le presenze e i diritti negati.
Però c’è da chiedersi in che misura il tema donna nell’arco di tutto il dibattito illuministico diventi terreno di analisi ma anche di affermazione dei diritti peculiari nel più ampio contesto dell’individuazione giuridica e politica dei diritti. Se solo accenniamo a nomi come Voltaire e Rousseau, comprendiamo come nelle figure della signora di Warens de Le Confessioni o nelle pagine de La Nouvelle Heloise l’immagine donna calata nella drammaticità dei rapporti interpersonali divenga contenitrice di “figurazioni” dell’amore e dell’amicizia così come sono immaginate dall’uomo. Solo nell’area inglese troviamo forse nella letteratura un’individuazione peculiare del soggetto donna, sia nel racconto autobiografico libero, anche se filtrato nel moralismo, della Moll Flanders di Defoe, sia nella autonomia razionalistica dell’azione della Pamela di Richardson positivamente e vittoriosamente inserita nel progresso dei diritti. E, tuttavia, non si può negare che allora la donna venga emergendo più sicuramente che nel passato come soggetto di diritto e di fatto. Del resto, almeno nell’Europa più progressista, le giornaliste, le animatrici dei salotti, la stessa estensione della carta dei diritti ne sono evidente testimonianza come è emerso, d’altronde, in un convegno che a Pisa nel 1979 ha discusso sulla presenza delle donne nell’Enciclopedia, in Diderot, nei romanzi popolari, nei romanzi libertini, nei trattati, nella pamphlettistica femminista.
Ma in Italia,dove la tradizione letteraria è più ossificata, il dibattito ideologico più frenato in un moderato e moralistico stemperamento, i vari ambiti letterari, le scelte espressive segnano con confini invalicabili anche l’analisi problematica e le tonalità della presenza femminile. Così può accadere che pur in un’accademia diretta da una donna quale l’Arcadia dell’ex regina di Svezia, Cristina, la donna sia indubitabilmente prigioniera degli schemi tradizionali. Le varie Fillide, Nerina, Egeride continuano a essere l’ornamento che rende gradevole il riposo della mente e del cuore dell’uomo nella lineare armonia dei paesaggi campestri e nella definizione razionalistica dei sentimenti privi di passione. Allora perfino la drammatica e cupa Didone di Virgilio e di Dante compone le sue tempeste nei gradevoli e musicali lamenti del Metastasio.
E i grandi autori? Mettiamo da parte Parini e Alfieri nelle cui opere la figura femminile continua ad essere usata come strumento del pensiero e dell’anima maschili nella funzione di prove dei lucidi teoremi della loro mente e del loro cuore. Una qualche sorpresa italiana possiamo cogliere come maggiore significato della figura femminile solo in Goldoni. Come afferma il critico Mario Baratto, la donna “nella mutevole dialettica delle componenti sociali e individuali è un personaggio centrale”. E lo è non soltanto per la realtà di potere che detengono le attrici nelle compagnie comiche ma per una sua particolare sensibilità capace di registrare, pur con qualche ambiguità, i contrasti di una società certo in evoluzione. Forse è la sua maggiore libertà interiore dagli schemi affettivi, paradossale nella minore libertà sociale, che ne fa un reagente efficace nella società settecentesca. La donna goldoniana, dalla borghese intraprendenza di Mirandolina alla immediata vivacità delle popolane de “Le baruffe chiozzotte”, è sempre un personaggio consapevole, che non solo governa se stessa ma svela anche il senso della vita negli altri. E questo avviene tanto più quanto più la donna attraversa la concreta ricchezza del quotidiano (oggetti, azioni, circostanze). Un contatto vissuto con la lucida chiarezza di una ragione pratica che la conduce a quella cognizione dell’individuo e del mondo che è il merito maggiore del teatro goldoniano. Così l’intelligente percorso di riconoscimento delle qualità personali, condotto da Mirandolina attraverso la sconfitta dei pregiudizi nobiliari, diventa un riconoscimento generale dei diritti dell’intelligenza sulla retorica anche verbale dei privilegi. Questo anche senza le audacie della Pamela inglese e con tutti i moderatismi derivati dal buon senso della cultura mercantile veneziana. Mirandolina, difatti, non ribalta e neppure vuole ribaltare i ruoli sociali; non sposerà un nobile ma rimane significativa proprio per la chiarezza razionale con la quale agisce nella vita quotidiana. Il suo agire però sfugge con più facilità all’ambigua strumentalizzazione ideologica nascosta dietro i personaggi femminili dei grandi romanzi illuministi. E’, la sua, la stessa concretezza di un’azione dentro la vita e per la vita che possiamo trovare anche nell’attività reale di alcune donne giornaliste.
A Nord Elisabetta Caminer figlia di giornalisti, direttrice del “Giornale enciclopedico”, rappresenta una storia di emancipazione significativa affermando e dirigendo con grande senso di concretezza la sua realizzazione personale, ma non solo. Certo sa sfuggire al mestiere di crestaia e passa coraggiosamente attraverso la solita guerra delle maldicenze dirette contro una donna che vuole affermarsi come soggetto autonomo, ma l’obiettivo più importante non è la sua realizzazione personale, e la stessa Elisabetta sposta continuamente (perfino in una recensione pubblicata a Londra) la sua battaglia sulla significatività e solidarietà di genere, attraverso la sua lucida passione per il sapere della donna.
La stessa realistica, fattiva lucidità possiamo trovare nell’ambito meridionale nell’attività di Eleonora Fonseca Pimentel. La sua intuizione del valore della cultura per l’affermazione dei diritti si muove sul terreno della vita quotidiana. Così interviene a lodare il sovrano quando vengono pubblicati gli statuti per una colonia modello dei lavoratori della seta a San Leucio e si spinge, con audace passione democratica, a proporre la predicazione del catechismo in dialetto e a sostenere il credito agricolo.
Già nell’attività preziosa di queste giornaliste e intellettuali si rivelano, a mio avviso, non solo personalità eccezionali ma anche un’esigenza diffusa di spazi per il soggetto donna che diventerà (certo tra contraddizioni, sospensioni e arretramenti) sempre più ineludibile proprio perchè proiettato come intervento concreto sulla qualità di vita dell’intera società. Che non si tratti solo di una remota e finalistica esigenza lo testimonia d’altra parte la diffusione del tema della donna anche a livello medio in una voce anonima. In una delle riviste che sembrano anticipare, anche nell’elegante veste grafica, le attuali riviste femminili, una pubblicazione destinata a un pubblico medio-alto, La donna galante ed erudita, un’anonima redattrice parlando di un argomento frivolo quale quello dei cavalier serventi riesce, anche attraverso l’esposizione dei gusti, delle esigenze e delle caratteristiche psicologiche femminili, a rendere visibile il soggetto donna in una concretezza che si muove anche in una lucida ricognizione della diversità dei comportamenti determinata dalle differenze sociali nella vita del genere femminile.
Questa diffusa, seppure spesso sotterranea urgenza della soggettività femminile si muove, quindi, sempre sul terreno della realtà quotidiana nelle analisi e nelle proposte, e non soltanto per una indubitabile scarsezza di teorizzazione intellettuale. Ho l’impressione, anzi, che se i percorsi della storia fossero veramente lineari e progressivi, questa intelligenza e poesia del quotidiano che affiora nell’attività intellettuale del ‘700 avrebbe potuto, attraverso la forza della ragione, contribuire a creare più velocemente una società dei diritti, più libera per tutti.
Di lì a poco, i nvece,questa immagine settecentesca di donna garbata, forse moderata ma decisamente fattiva subisce da parte della cultura uno scolorimento. L’età romantica (non saprei dire se per fortuna o per sfortuna) farà ripiombare la figura femminile nel binomio ossimorico”angelo-demonio”, rinserrandola nella retorica nazionale e nell’affascinante ambiguità poetica, spogliandola di consapevolezza e operosità, consacrandola regina di mistero e di passioni e, ancora una volta, specchio dell’uomo per la sua eterna fuga dal mondo. Una figura ricca di poesia, certo, e la poesia amplifica la vita ma, attraverso la mistificazione, può anche ferirla e bloccarla..
Donna che scrive, opera di Jan Vermeer (National Gallery of Art di Washington)