Alla ricerca di qualche proposta per una gita d’arte, magari tra qualche mese, quando la piovra Covid avrà, si spera, allentato i suoi tentacoli permettendoci di ritenerci ancora creature libere, con normali aneliti e recuperate possibilità di assecondarli, ho letto di una mostra a Napoli dedicata ai Bruegel, già attiva dallo scorso mese di novembre 2021 presso la Basilica della Pietrasanta e mi sono catapultata nel sogno di riuscire a visitarla.
E sì che l’arte fiamminga, in particolare questa proposta a Napoli, di autori a cavallo tra i secoli d’oro del loro rinascimento, che muove da Jean Van Dyke e Hieronymus Bosch e passa a Pieter Bruegel ed ai suoi figli, mostra un forte interesse allo studio dei particolari, che in Bosch raggiunge un dettaglio minuzioso e raro.
L’epoca si volge anche a nuove prospettive, segnatamente nel disegno anatomico, fortemente ispirate a Leonardo.
Prendiamo ora ad osservare, di Pieter Bruegel , l’ emblematica “Lotta fra il Carnevale e la Quaresima” – conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna – cercando di seguirne i particolari, ingranditi nei limiti del possibile, per cogliere la grande inversione di tendenza rispetto al periodo precedente, fatto di paesaggi tipici e sereni, di scene sacre o, tutt’al più, di ritratti.
Qui va di scena il conflitto delle coscienze, l’opposizione del bene al male in una mistura surreale dove la realtà più cruda e drammatica, si guardi il gruppo degli storpi, rassegnati in un angolo della strada, fa da contraltare ad esplosioni di follia carnascialesca scomposta e godereccia.
Da questo moltiplicarsi dei particolari ci si rende conto di come, quelli che sono espressione del bene, facciano da diapason per rendere “sonori” anche quelli di significato opposto. E’ qui il grande gioco dell’arte.
Tutti gli astanti si contrappongono come schiere nemiche in una battaglia sorda, di coscienze, distribuite in fortune, destini e scelte di vita differenti che sembrano condurre a finalità opposte, o, quantomeno, occasionalmente tali. Chiamati a comporre un concerto che sconcerta e che, in sintesi, non rappresenta che la scena umana.
Ne “I proverbi fiamminghi” del 1559 – conservato al Gemaldegalerie di Berlino – la straordinaria tendenza al dettaglio, alla minuziosa e insieme intricata visione di assieme, si fa più serena. Il colore aiuta, c’è maggior luce. Lo squarcio di cielo e di mare, così intenso, così azzurro, anche se solo laggiù, quasi di sfondo, illumina la scena, come sempre variegata nel dettaglio delle varie operazioni che l’uomo compie, e conferisce alla sua composizione un’atmosfera tenera che aiuta a seguire il gran da fare di tutte le figurette che danno vita al magnifico tableau.
Il concetto stesso di arte ci dice che riesce a toccarla ed a farne uso solo chi, al vaglio del tempo, della critica e del gusto dei più, riesce a meritare un posto nella “candida rosa” degli artisti veri. Ed è così che Pieter Bruegel il Vecchio è assurto alla dignità di grande maestro fiammingo del Cinquecento, con la sua opera e poi quella dei suoi figli, così minuziosa, significativa e particolare da sembrare quasi quella di un prezioso naif ante litteram. (EDB)