1900-1930: trenta anni di storia civile e culturale fra i più inquieti e, perciò, fra i più ricchi di movimenti, di intuizioni, spesso di realizzazioni. Sono anni destinati, quasi automaticamente, alla fertilità culturale per l’affermarsi di una concezione nuova, esplorativa e sperimentale della poesia..
Einstein, Max Planck, Fermi evocano una specie di terremoto scientifico, un mutamento di principi che per secoli erano stati basilari: quante ragioni imbevute col latte caddero in quegli anni sostituite dalle nuove, paradossali all’apparire ma che non cessano tutt’oggi di essere creative!
Quelle nuove ragioni furono come colpi di piccone sui concetti tradizionali, sulle coordinate consolidate di spazio, tempo, moto, tali da condurre poi a un precipitoso declino la concezione meccanicistica della natura e certamente operarono nel mondo della letteratura e della poesia in particolare. Produssero infatti, poetiche volutamente nuove, esperienze spesso nate e concluse come avanguardie. Anche la condizione oggettiva e soggettiva del letterato nell’ambito di quella civiltà era cambiata, essendo segnata dall’estraneità e dalla negazione. Difatti mai come in questo periodo l’intellettuale europeo fu tanto inquieto ma conscio, nello stesso tempo, della sua ansia e della sua possibilità di scoprire, di disegnare, di inventare una realtà che poteva assumere le forme da lui volute, volta per volta, mai come allora la condizione dell’individuo fu sentita come fatto unico e incomunicabile e mai con tanta decisione si fuggì da una letteratura che fosse rispecchiamento del reale; si tagliarono allora violentemente i ponti con la narrazione naturalistica del secondo ottocento.
Eppure queste stesse ragioni della coscienza artistica non erano estraniate dalla realtà della società. Le condizioni nuove delle fasce sociali e dell’artista in particolare nello sviluppo industriale furono determinanti per le vie che la letteratura imboccò e che la coscienza poetica percorse. Il passaggio dallo sviluppo industriale liberistico a quello monopolistico portò al conseguente imperialismo e l’approdo delle tensioni introdotte da questo processo sarà la prima guerra mondiale.
Un cambiamento strutturale di indirizzi fondamentali, ovviamente, non poteva restare senza conseguenze sulla coscienza culturale. Di fronte a questa involuzione dei principi liberistici e liberali, propugnati prima dalla borghesia, l’intellettuale si colloca con un senso di estraneità e di sgomento.
Decisamente interessante è, a questo proposito,il modo come molti poeti vivono il rapporto con un soggetto emblematico della civiltà industriale, la città
Blocco d’acciaio, di mattoni e di vetro, / avvolta da reti di fili metallici, / tu sei un’instancabile maga, / un magnete che non si affievolisce. / Come un drago predace senz’ali / rintanata tu vigili gli anni / e per le tue vene di ferro / circola il gas, scorre l’acqua. E’ la voce di Valerij Brusov un poeta russo nel 1907.
Un po’ più ottimista ma anch’essa mista di paura e di attrazione è la descrizione dell’americano Carl Sandburg
“Tra magnetiche maledizioni, faticosamente lavorando ad ammucchiare impresa su impresa, ecco la grande ardita lottatrice ergersi vivida tra le piccole effeminate città; feroce come un mastino dalla lingua pendula pronto all’assalto, astuta come un selvaggio che sfida le asperità del deserto a testa nuda ammucchi pianifichi costruisci, distruggi, ricostruisci”
Per di più si fa sempre più acuta da parte dei poeti la coscienza della crisi del proprio ruolo. Davanti a una società dominata dal pragmatismo degli affari, dalla realpolitik, dal peso dei rapporti finanziari, il poeta perde l’aura, come afferma il critico tedesco W.Benjamin.
Come vive il letterato questa emarginazione sociale? La reazione non è razionale: anche se molteplice e variegata, è sottolineata da un atteggiamento diffuso di rifiuto che spesso si può esprimere nella fuga. A volte la fuga nel proprio io che si ingigantisce, diventa ipertrofico e, intanto, non ha più la consolante universalità dell’Io romantico ma è individualista e spesso angosciante. Pensiamo, per questo, alla ricerca di Proust, alla sua fuga dal presente nel passato, tra i meandri della memoria oppure al senso soffocante di disperazione di Kafka per lo schiacciamento operato da un potere oscuro sull’uomo, all’individuo malato del boemo Rilke, al lucido esame della crisi dell’uomo borghese condotto da Thomas Mann e, in Italia, da Svevo e Pirandello.
Altre volte il rifiuto delle condizioni reali si esprime come affermazione orgogliosa del valore sublime del bello e della figura dell’artista o della tragedia esaltante della sua eccezionalità: pensiamo all’estetismo raffinato di O.Wilde e a quello più “casereccio” di D’Annunzio. Oppure, sulla linea della poesia francese del secondo ottocento, il rifiuto della realtà spesso avviene con lo slancio verso il mistero toccato e mai svelato completamente dalle immagini della poesia: pensiamo alle visioni di Pascoli, anche se meno stravolgenti di quelle dei simbolisti francesi..
Infine, altri scrittori nell’area tedesca e russa si oppongono a una crisi che percepiscono come storica per la creazione di una nuova concezione sociale del poeta, della necessità del suo impegno di denuncia e di alternativa. Pensiamo ad alcuni scrittori russi come A.Blok e a qualche espressionista tedesco. Tutte queste esperienze hanno, comunque, in comune il senso di solitudine dell’artista, la sua non integrazione nella realtà presente, e in alcuni questa alterità viene vissuta programmaticamente come denuncia e rivolta e opposizione anche formale. In Il Cavaliere Azzurro, una rivista di avanguardia, nel 1912 Franz Marc scriveva: E’inevitabile che si apra un baratro tra la produzione artistica e il pubblico….L’isolamento di pochi,veri artisti è e per il momento assolutamente inevitabile
Eppure questa affermazione non era una manifestazione di pessimismo catastrofico se nello stesso anno sulla stessa rivista August Macke poteva scrivere: I sensi per noi sono il ponte dall’inafferrabile all’afferrabile [….] creare forme significa vivere.
E’ chiaro che in questo modo veniva già emergendo un’alternativa costruttiva: qualcosa che rompeva frontiere consolidate introducendo il fatto artistico in una dinamica sempre più veloce e che affondava sempre più nel profondo, sempre più aperta a una logica che non era più quella classica delle successioni causa-temporali, ma aveva la libertà dei cerchi, delle spirali infinite che si dilatavano nell’irrazionale di un universo dell’immaginario, sempre più ampio sulla scia dell’irrazionalismo filosofico e dell’acquisizione dell’inconscio, da Bergson a Freud.
Per quel che riguarda l’aspetto più specificamente espressivo, tecnico della poesia, la rottura dei vincoli tradizionali appare non soltanto nello spostamento della narrativa europea dall’osservazione del mondo esteriore a quello interiore con Proust, Musil, Kafka ma,in maniera forse più rivoluzionaria, nella concezione stessa dell’espressione artistica, nelle poetiche.
Si parte dalla rottura del rapporto convenzionale tra oggetto e parola che avevano già operato i simbolisti di fine ‘800, mettendo in moto l’infinita libertà dell’analogia rispetto agli schemi razionalmente fissati dalla retorica tradizionale.
Per questa via, passando attraverso la dichiarata eversione della sintassi comunicativa tradizionale ad opera dei futuristi, arriviamo al flusso di coscienza dell’Ulisse di Joyce, dove natura, psicologia e cultura si fondono con l’apparente immediatezza dei moti interiori in livelli elaboratissimi di raffinata cultura.
In Italia l’innovazione è molto più cauta, il panorama socio-culturale più ristretto. C’è una industrializzazione ancora neonata, una classe borghese solo settentrionale e non sempre audace, una forte tradizione classicistica, rinvigorita dall’autorevolezza del Croce; i processi avanzati nel campo letterario non sono quasi possibili e le suggestioni europee arrivano stemperate. Così il fascino del mistero diviene il torbido, languido cocktail di misticismo e sensualità di Fogazzaro, il rifiuto della retorica ottocentesca diventa l’ironia sommessa e discorsiva di Gozzano sulle buone cose di pessimo gusto, la volontà di espressioni nuove, violente e audaci diventa la chiassosa, anche se interessante, sperimentazione dei futuristi che esaltano la velocità, la civiltà delle macchine e presentano miniprogetti sperimentali di rottura, perfino nella grafica del discorso poetico.
Il superomismo e il fascino vitalistico ereditati dalla suggestione nicciana diventano quasi propaganda spicciola e, spesso, retorica vociante nelle riviste fiorentine Leonardo, Hermes, talora attraverso la voce roboante del Papini.
Sono invece voci isolate ma più interessanti e più in sintonia con le grandi intuizioni della lirica europea la poesia visionaria di Dino Campana e quella volutamente spoglia del ligure Sbarbaro.
Intanto le tensioni accumulate sfociano nella grande tragedia della prima guerra mondiale; dopo non cambierà molto ma niente sarà come prima, anche nel campo della letteratura.
La Rivoluzione Russa ha posto un problema vivo, un interrogativo pressante a tutto il mondo europeo anche per quanto riguarda i rapporti tra arte e vita, tra poeta e società.
La guerra, sognata da parecchi artisti come avventura rigeneratrice è vissuta, invece, come tragedia e non è un caso che nell’ambito della guerra maturi l’esistenzialismo ermetico di Ungaretti.
Soprattutto, gli esiti della guerra non hanno affatto risolto le tensioni ma le volontà imperialistiche che permangono nella volontà di rivincita sulla pace mortificante di Versailles introducono nuovi elementi di conflitto. La Società delle Nazioni non funziona, le dissipazioni anche economiche della guerra hanno impoverito le economie e immiserito nella disoccupazione la vita dei popoli, la crisi economica diventa spesso crisi sociale. L’inettitudine di alcuni governi porta all’affermazione di forme dittatoriali: arrivano al potere nel 1922 il fascismo in Italia, il nazismo in Germania.
In questo quadro storico l’artista è sempre più in fuga dal mondo violento e oppressivo. Pochi sono quelli che tentano un’analisi dei fattori storico-sociali e che hanno la speranza e la volontà di intervenire per cambiare.
In Italia si collocano su questa linea, a proprie spese, il liberale Gobetti, il comunista Gramsci e solo tredici professori universitari rifiutano il giuramento di fedeltà al regime fascista; molti intellettuali si adeguano ai compiti di celebrazione e alcuni si rifugiano nella neutralità. Sulla scia e con l’alibi dell’atteggiamento di Croce i letterati della Ronda si chiudono nell’ideale della prosa d’arte, di una poesia che punti esclusivamente alla perfezione espressiva. Ma, comunque, questa tensione stilistica non è cosa limitata; la maggior parte dei poeti europei si muove alla ricerca di mezzi di espressione nuovi e non solo con una ricerca puramente tecnica ma con una ricerca epistemologica, di segni più significativi sul piano esistenziale, capaci di rappresentare con il valore spoglio della verità dopo tanta mistificazione del potere, i nuovi livelli di conoscenza e di coscienza
Quando trovo / in questo mio silenzio /una parola scavata è nella mia vita /come un abisso dice Ungaretti e la ricerca della “parola” nel senso proposto da De Saussure è anche, sia pure indirettamente, il rifiuto di un mondo ingabbiato. Oppure, nella severa denuncia della scarna essenzialità, Montale afferma: Codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
La coscienza della disgregazione di un mondo diventa anche crisi del racconto naturalistico e ricerca di un’ironica fluidità fra interno ed esterno nel monologo sveviano di La coscienza di Zeno. Non si tratta soltanto di una tecnica espressiva nuova sotto l’influenza di Freud e di Joyce ma è la chiave più adatta a rendere visibili le contraddizioni di una crisi storica e ideologica.
Così in Pirandello l’umorismo acre, amaro, diventa il lucido strumento dell’intelligenza per demistificare le convenzioni e frantumare le certezze fittizie; l’uomo socialmente mistificato attraverso la “chiave” ironica si ritrova “uno,nessuno,centomila”. Non sempre, però, la nuova letteratura è solo giudizio o condanna; in alcuni autori si presenta con il volto della speranza, con il coraggio di costruire, con la volontà dell’artista di impegnarsi nella trasformazione della società.
Il surrealismo, per esempio, già nel primo manifesto del 1924 si presenta come desiderio irrefrenabile di libertà e va al di là della pura negazione del dadaismo per proiettare, anche attraverso la liberazione della parola dalla profondità dell’inconscio, un mondo nuovo; non è un caso che i più importanti surrealisti Breton, Eluard, Aragon si buttino nell’impegno sociale.
Così, penso, altrettanto e forse ancora più chiara è la volontà di intervento di Brecht che parte, insieme con l’espressionismo, dalla violenta denuncia del presente per scendere poi in campo a lottare. Il suo teatro didattico, più tardi epico, è un deciso atto di volontà per riportare l’opera dell’artista nella società con l’intento di modificarla. Significativi per la concezione antilirica alla quale egli approda tra gli anni ’20 e ’30 sono i versi che costituiscono una dichiarazione di lotta contro la dittatura nazista: in me combattono / l’entusiasmo per il melo in fiore / e l’orrore per i discorsi dell’Imbianchino / Ma solo il secondo / mi spinge al tavolo di lavoro
Con la stessa scelta, anche se in un’atmosfera più esaltante, Majakovskij aveva impiegato la ricchezza immaginifica delle sue espressioni analogiche per cantare nella rivoluzione russa una società nuova. Per lui il futurismo, la ricerca espressiva di avanguardia era strumento di un intervento nella società, uno strumento che egli usò con coraggio anche per denunciare le contraddizioni stesse di quella Rivoluzione, soprattutto il burocratismo della politica culturale.
In questa rivoluzionari trenta anni, quindi, l’esplorazione di nuovi parametri per la conoscenza del mondo va in un certo senso di pari passo con la ricerca inquieta e variegata di nuovi codici di lettura di quell’universo mai del tutto esplorato che è l’uomo.
Volendo trovare elementi di convergenza con il presente, appare evidente che anche per noi, nei drammatici e potenti cambiamenti di comunicazione e di vita, stanno cadendo molte “ragioni imbevute con il latte”. Potranno avere prospettive positive o negative a seconda di come opereremo ma quello che sgomenta è anche la povertà culturale e il ruolo incerto e confuso, spesso mistificante, di gran parte degli intellettuali del nostro tempo.
Così più diverso e più deludente rispetto ai fecondi movimenti del secolo scorso!