Massimo, dentista affermato con moglie e figlie, scopre in cantina una ragazza legata ed imbavagliata. Sorpreso e terrorizzato, non la libera, anzi, da quel momento la sua realtà si sdoppia tra il tentativo di vivere normalmente in famiglia, e le sue visite nell’orrore del sotterraneo. La prigioniera è inerte, non si sa come sopravviva durante i lunghi 90 minuti del film, anche perché Massimo non le dà nessun aiuto, se non facendola bere ogni tanto… La storia è evidentemente simbolica : strano è Massimo, stranissime la moglie e le figlie, icone dolci e quasi fluttuanti per casa, addolorate nel vedere il loro amato precipitare nella nevrosi e nella rabbia mal contenuta… tutto è statico, silenzioso, sospeso…
La macchina da presa indugia volentieri su paesaggi desolati (l’America… provincia di Latina, appunto), sulla villa di design, su tramonti, angoli bui, profili intensi del pur bravo Elio Germano, ma…
Lo spettatore mediamente informato ha ormai captato gli echi di altri film di atmosfera, dove la realtà non è quella che sembra, come Shutter Island, The others, e si mette in attesa del colpo di scena finale, che, però, risulta alquanto banale e scontato. Purtroppo, per narrare l’angoscia al cinema non bastano frasi smozzicate, sguardi fissi, silenzi… qualche illustre critico ha parlato di ‘ pazio diegetico’, di film ‘indecidibile’…. Se intendeva che, tornando a casa, lo spettatore si chiede “che avrà voluto di’?”, allora siamo d’accordo. Senza tanto fumo e paroloni, meglio dire, semplicemente, che la sceneggiatura è fiacca e molto rimane nelle intenzioni, un po’ cervellotiche, degli autori.
I tempi dell’alienazione e delle vite misteriose sono finiti con Antonioni, Alain Resnais e, grande epigono, Kubrick con Eyes wide shut, ma… appunto… Kubrick!