Parole in fila, in forma di versi,/senza alcuna pretesa di poesia,/soltanto pochi pensieri dispersi/suggeriti dalla malinconia. La poesia in apertura è un attestato di poetica che ci può guidare come bussola nella decodifica di tutti i testi della raccolta, una mappa anche concettuale della direzione, delle diramazioni tematiche, dei grovigli e dei nodi filosofici, dei luoghi e dei fatti e delle persone che hanno popolato il mondo dell’autore.
Elso Simone Serpentini si cimenta per la prima volta con la produzione in versi italiani, dopo varie pubblicazioni in vernacolo, la lingua materna verace ed espressionistica che gli permetteva di esternare lo spirito goliardico di una naturalezza graffiante e rocciosa come i luoghi montani della sua amata Castelli.
Ora, nell’età dei bilanci in cui molti addii sono stati detti e molti tramonti sono stati visti, con le lenti un po’ sfocate dalla distanza rispetto agli ardori dell’ età vigorosa, come uno Jacopo Ortis diventato Didimo Chierico, tratta le stesse tematiche con l’amore, la rabbia, l’insofferenza, l’apprezzamento, il disprezzo di allora ma con in più una vena di malinconia che tutto avvolge rendendolo “calore di fiamma lontana”.
Serpentini ha ormai sperimentato tutti i generi e le tipologie di scrittura, è un poligrafo dalla penna felice che con estrema agilità spazia dalla ricerca storica documentata al giallo al romanzo al saggio filosofico alla poesia vernacolare e in lingua, che dalla realtà concreta parte ma poi vira sconfinando in campi semantici fusi e confusi, dilatati a connotazioni metafisiche.
Ed è anche consapevole della duttilità e ampiezza dei suoi mezzi espressivi che piega all’occorrenza ad una citazione classica, a ricordi filosofici, a scorribande linguistiche retoriche purchè la trama più non abbia mende/e un anacoluto, pur tra tante allegorie,/renda assai edotta la mia allocuzione/e produca…mille poetiche alchimie. (Figure retoriche). Perciò dobbiamo prendere come dichiarazione di “falsa modestia”quella dei versi iniziali senza alcuna pretesa di poesia, /soltanto pochi pensieri dispersi, alla maniera delle “nugae” catulliane o dei Rerum vulgarium fragmenta di petrarchesca memoria.
Nella varietà dei temi, a prevalere è il senso del tempo che fugge, delle cose perdute, di “ciò che finisce e che mai più vedrò a levante”, ribadito insistentemente in tante liriche quasi a scandire l’inesorabile trascorrere della vita con un tono elegiaco dominante nella prima parte dell’opera. Come in Intreccian le dita: Inseguo sogni che non han più tempo,/scrivo parole che non han più senso, /continuo ad invecchiare nel frattempo,/continuo a fare a meno del consenso;oppure in Les jeux sont fait: Non più sogni, non più ormai,/non più dubbi, una sola certezza,/che è comune a tutti i marinai:/ una desolata, interminabile amarezza; o ancora in Lungo i sentieri: E nel cielo, ch’è privo d’orizzonte,/quando ormai il vivere disvoglia,/ogni nube è di pioggia la fonte; e poi in Intrecciati ricami: Intrecciati ricami di pensieri/serpeggiano sui cadenti rami/dove i pochi smarriti pivieri/posano, come sugli origami/una tenera mano di fanciullo.
Un’altra parte consistente dell’opera è dedicata al sentimento d’amore per la moglie, compagna di vita da tanti anni, a cui è dedicata la raccolta e a cui lo lega una consonanza di “amorosi sensi”fin dall’adolescenza, come in Non chiedermi: Non chiedermi quel che penso io,/perchè il tuo pensiero è quello mio/…./Io sento quel che senti, ascolti,/e in tutto vedo i nostri volti/di un amore nato nell’adolescenza/conserviamo ancor tutta l’essenza,/i verbi coniughiamo ancora insieme,/ognuno teme quel che l’altro teme; oppure in Sonetto per la mia donna: La fronte e gli occhi il primo verso/sono e i tuoi occhi da bambina/ gli altri della prima quartina/del mio sonetto un po’ diverso
Un altro consistente gruppo di poesie è dedicato a Teramo, che “ Tra due fiumi , pigra, sta distesa/mollemente sonnacchiosa,/tra gli abitanti continua contesa,/la discordia tra loro mai riposa/…/ai balconi l’ignoranza s’ affaccia/e decaduta è ormai la scuola./Tra le vetuste pietre c’è l’erbaccia (Tra due fiumi); con il tono irritato di chi la disprezza per il suo abbandono e la sua incuria ma l’ama per essere il luogo della sua vita, la apostrofa con un piglio da invettiva dantesca: in te alligna sempre ogni malafede,/ogni dibattito in te diventa rissa,/sì che nulla di buono si intravede./Sei stata domata, vinta, distrutta…/(Nuovo sonetto per Teramo); o ancora con il tono dell’amante tradito …fontane, scorci e giardini ridenti,/voi non siete più che nel ricordo,/abbattuti da un furore cieco e sordo./Non più il Teatro, tempio antico,/ dell’arte nostra vanto e mito…(Ti amo Teramo perduta).
E anche poesie dedicate a testimonianze significative di Teramo : il Teatro antico, ormai muto, sordo e cieco; gli Stinti affreschi… di un castello dal medioevale cuore; l’Ospedale psichiatrico, Qui dentro, dove dimorò un tempo la follia.
Infine, una miscellanea. Versi dedicati ai luoghi importanti della sua infanzia: Castelli, di cui piange le ferite di pietra, le case dileggiate, le botteghe che ora son deserte; Montorio un tempo sede di Contea/…/Diventata povera e plebea; Sua maestà il Gigante, che all’orizzonte, domina e sta desto./Al calar della sera, nonno affettuoso,/ci impone di dormire con un gesto; Colle Greco, di cui ricorda Di platani le lunghe litanie,/…su per quel viale/dove si dipartivan le vie/che correvano sopra il crinale.
Poi versi sul suo lavoro di un tempo alla radio, sul calcio, sul biasimo alle sue critiche continue, sui giornalisti che scodinzolano alla voce del padrone, come cani al guinzaglio.
Ma a dominare su questa miscellanea è il sentimento tenero del nonno nei confronto degli amati nipoti, Vincent che ha una avveduta noncuranza delle sofferenze e dei bisogni,/con la bisaccia piena di speranza,/in tasca sempre tre o quattro sogni”, e Vassily che indomito guerriero,/sempre impegnato e mai stanco/ coriaceo, tenace, sguardo fiero,/…./insegue i sogni, armato di clava/…
Ogni pagina di poesia riporta a fronte una foto scattata dall’autore, altra passione della sua vita.