La caratteristica dialogica della narrazione dantesca risulterebbe ristretta a una prospettiva individuale se si limitasse ai dialoghi di Dante con le sue guide. La realtà, invece, è che la Commedia è fitta di dialoghi con un’infinità di personaggi. Anche in queste rappresentazioni troviamo una duttilità di rappresentazione straordinariamente coerente con l’essenza, la disposizione e la funzione dei dialoganti (pensiamo al linguaggio di Pier delle Vigne). E questa scelta artistica da una parte dà l’opportunità narrativa di delineare anche attraverso le modalità espressive quasi un affresco del mondo che Dante ha intenzione di rappresentare nella sua realtà, dall’altra consente di verificare in res nelle parole e negli atteggiamenti dei personaggi il carattere evolutivo e animato dall’ottimismo provvidenzialistico della drammatica narrazione.
La proporzione quantitativa ancora una volta ci dice parecchio: la durata è più breve nei dialoghi infernali dove la distanza necessaria per l’inamovibilità del peccato appare netta nel tono più dialettico che dialogante, a volte secca e sferzante nella contrapposizione. Avviene già dai primi canti con l’ostilità verbale di Caronte e solo l’empatia drammatica con Francesca e Paolo sembra per un po’ cancellarla ma poi si riaccende nell’intelligenza del sarcasmo contro Ciacco, sul piano quasi fisico con Filippo Argenti, nella statuaria frontalità verso Farinata, nella straniata riprovazione di Pier delle Vigne al gesto di Dante. E sembra giungere al massimo con l’angosciato richiamo di Ugolino “ E se non piangi, di che pianger suoli?”. Tuttavia si potrebbe dire che è quasi questa contrapposizione di distanza a consentire ai personaggi infernali non solo una presenza più ampia e varia testimoniata dal numero maggiore di personaggi dialoganti ma anche una specie di autonomia più netta e anche piu che altrove nelle presentazioni, nelle rivendicazioni, nell’amarezza dell’odio perenne.
Nel Purgatorio invece la comunanza di sentimenti di incertezza, nostalgia, speranza tra pellegrino e anime avvolge i dialoghi in una comunicazione affettiva dalle mille sfumature. La dolcezza dei ricordi con Casella, la comprensione ammirata delle ragioni di Manfredi, la nostalgia nell’ora che volge al disio, la meraviglia delle anime nel notare l’ombra di Dante e le loro richieste di preghiere… A volte, come con i superbi e gli invidiosi, è addirittura l’atteggiamento corporeo di Dante a segnare la vicinanza. Questa progressiva vicinanza culmina culturalmente nell’elogio di Stazio a Virgilio “Facesti come quei che va di notte”. Alla fine si ha come l’impressione che da questo progressivo avvicinamento sia la personalità del pellegrino a uscire sempre più forte, rispetto alla contrapposizione infernale.
Anche nel Paradiso, nell’oceano di luce che connota il mondo della beatitudine, continua a vivere nei dialoghi il mondo terreno con la sua varietà di storie, di caratteri e di vicende. Qui la quantificazione di presenza ci dice che se è minore il numero di personaggi, è maggiore la durata del loro intervento (si pensi a Giustiniano). Certo, perché l’atmosfera comune dei dialoghi è quella di una charitas sapiente e calda dei beati verso Dante ma anche perché in questi dialoghi l’autore ha anche la possibilità di esplicare i caratteri della storia civile, sociale e politica del mondo con l’opportunità di valutazione personale degli eventi umani del passato e del presente e anche delle prospettive profetiche nel crescente valore pedagogico dell’opera. Piccarda, Giustiniano, Carlo Martello sono lì a ricordarcelo.
Il culmine artistico di questo intreccio si rivela nel colloquio con Cacciaguida tra ricerca appassionata delle radici famigliari, nostalgia del passato e profezia orgogliosamente drammatica sul futuro della vita e del destino di Dante. I dialoghi successivi con le anime beate sempre più dilateranno gli orizzonti di Dante verso la conoscenza finale, spesso ricorrendo all’estasi di momenti di contemplazione silenziosa da parte di Dante. Ed è estremamente significativo che Dante, a segnare il legame tra i limiti umani e l’immensità divina, adoperi lo splendido ossimoro di Vergine Madre, Figlia del tuo figlio.
In definitiva i dialoghi, nella loro motivazione e nel loro svolgimento, ci mettono di fronte alla straordinaria impresa della rappresentazione celeste senza l’annullamento di quella terrena.
Direi a questo punto che non è insignificante il fatto che nel quadro narrativo che secondo Bruner attua la costruzione culturale, Dante usi in modo così rilevante la narrazione dialogica. Proprio il dialogo che secondo Bachtin è uno strumento inarrivabile di rappresentazione polifonica e interculturale. Quel mondo pur così compatto della Commedia allora non solo spazia ampiamente tra l’abisso della miseria umana e il vertice della visione divina ma riesce a rappresentare, superando tutte le sicurezze anche rigide del dogmatismo, una sinfonia stupefacente sulle culture e figurazioni umane .