Il dialogo con Virgilio nelle prime due cantiche è continuo e spazia dalla malinconica e umile autopresentazione di anima non beata nel I canto dell’Inferno e vissi a Roma sotto il buon Augusto al tempo degli dei falsi bugiardi al riconoscimento della sua funzione figurale nella deliziosa scenetta nel Purgatorio, con il cenno di silenzio da parte di Virgilio davanti al ritardato riconoscimento da parte di Stazio seguito poi dall’attestazione solenne Facesti come quei che va di notte e porta il lume e a sé a non giova ma dietro a sé fa le persone dotte, per culminare alla fine nella solennità affettuosa del congedo di Virgilio nel c.XXVII, con il riconoscimento della missione compiuta pur nei suoi limiti Il temporal foco e l’eterno veduto hai figlio, e se’ venuto in parte dov’io per me più oltre non discerno.
A questa dimensione virgiliana corrisponde l’affettività ansiosa di Dante già nel primo canto e oltre. Ma con quali tonalità si manifesta questo scambio affettivo ? Bisogna riferirsi innanzitutto alle funzioni che svolge nei suoi interventi Virgilio e che spaziano dalle indicazioni imperiose come davanti agli ignavi Non ragioniam di lor ma guarda e passa (cIII) al richiamo quasi ansioso alle funzioni da svolgere come nel c.X davanti a Farinata volgiti che fai? al rimprovero del c.II l’anima tua è da viltade offesa ; dalla necessità di fare da tramite per Dante con il mondo antico come appare davanti alla fiamma di Ulisse Lascia parlare a me ch’io ho concetto ciò che tu vuoi alla difesa contro Minosse Non impedir lo suo fatale andare, per finire quasi nel sostegno amorevolmente fisico per difendere Dante dall’assalto dei diavoli (c.XXIII) Lo duca mio subito mi prese come la madre ch’al rumore è desta.
Nel Purgatorio l’ansia di Virgilio si attenua e lo dimostra l’affettività più serena di quell’appellativo figlio più volte ripetuto Figliuol segui i miei passi anche nelle indicazioni di ciò che si deve fare. E’ evidente che oltre al sostegno operativo e affettivo la funzione di Virgilio è anche di fornire spiegazioni, perfino con una tecnica didattica induttiva, come nel canto dei simoniaci e nel canto di Casella, di cercare informazioni dalle anime per agevolare il cammino. Il suo significato allegorico di retta ragione fa sì che quando il maestro si rivolge a Dante, spesso debba dare delucidazioni sulle situazioni. E’ comunque singolare notare come nell’incontro di Dante con Brunetto Latini egli si terrà quasi al di fuori di questa funzione, lasciando spazio all’antico maestro: soltanto alla fine chiosa il discorso educativo di Brunetto con un consenziente bene ascolta chi la nota.
Da parte di Dante ovviamente c’è un atteggiamento figliale di richiesta continua: di spiegazioni, di aiuto, di conforto, con una vasta gamma emotiva: dall’enfatico riconoscimento del suo legame culturale con Virgilio già nel canto I alle richieste di aiuto nella paura, al rammarico nell’aver infastidito il maestro che lo incita ad aspettare per avere chiarezza di conoscenza (c.II) con gli occhi vergognosi e bassi temendo no il mio dir li fosse grave, fino alla manifestazione quasi infantile di terrore maestro i’ ho pavento di Malebranche (c.XXIII). Nel Purgatorio ormai il suo legame è più pieno di fiducia rasserenata anche dall’invito alla speranza da parte del maestro E tu ferma la spene dolce figlio (C.III). Si potrebbe quasi dire che la presenza di Virgilio nella progressiva autonomia di Dante sfumi sempre più nella profonda consonanza affettiva quasi preparando l’investitura malinconica dell’addio (c.XXVII) .
Il rapporto con Beatrice fin dall’inizio si muove in una atmosfera diversa sia nelle modalità relazionali che nel significato esistenziale e narrativo: perfettamente corrispondenti entrambi al momento dell’evoluzione personale di Dante e anche del rapporto drammatico tra realtà terrena e destino di salvezza. Beatrice, contrassegnata già al suo apparire da una direzione spaziale di elevazione rivolta a riguardar nel sole e fissa tutte ne l’etterne rote, ha con sé, nella sua dimensione figurale, tutto lo spessore dell’amore salvifico della vita terrena. La tonalità affettiva nei suoi dialoghi con Dante concentra, dunque, in un nodo inscindibile una pietas materna verso figlio deliro con una lucidità razionale aristotelica nella sua funzione esplicativa. Lo si vede con chiarezza nella mirabile sintesi dell’ordine provvidenziale sia dell’universo fisico che di quello celeste (cI e c.III). Si potrebbe notare nei suoi interventi una minore frequenza di indicazioni e correttivi rispetto a quelli di Virgilio. Questo, se da una parte si può spiegare con una maggiore autonomia dialogica e spirituale di Dante, dall’altra è anche il segno di una dilatazione, nel viaggio salvifico, delle capacità umane, una dilatazione che allarga lo sguardo e progressivamente riduce la distanza tra cielo e terra.
Tuttavia non è che per questo venga meno l’affettività nella guida di Beatrice sempre connotata da un richiamo, anche con l’accensione dello sguardo, alla charitas, come vediamo nel linguaggio quasi amoroso con il quale rivolge a Dante l’invito a manifestare i suoi desideri a Cacciaguida. E del resto, anche nelle parole di Dante O Beatrice dolce cara e guida esplode, quasi in un sospiro di felicità, il riconoscimento di quella capacità empatica della sua guida nel comprendere la desianza.
I dialoghi con san Bernardo, sui quali non mi soffermo, sono tutti avvolti in un’atmosfera di charitas più solenne e in qualche modo più esistenzialmente distante rispetto al rapporto con Beatrice, rivolti a dare cognizione piena a Dante dell’ordine universale anche nella molteplice bellezza della candida rosa dei beati, fino all’estatico svelamento dell’ultimo canto dove, dopo l’invocazione alla Vergine, la funzione di guida avviene attraverso il cenno sorridente, quasi a segnare ormai la piena autonomia di Dante .