La Divina Commedia, come tutti sappiamo, oltre ad avere una dimensione di universalità nella tematica è una specie di summa universale anche per quanto riguarda la forma letteraria. In questa opera vasta e rappresentativa in quantità sorprendente già agli albori stessi della nostra storia letteraria vengono offerti al lettore riflessioni filosofiche e teologiche, ritratti di ambienti e di personaggi, espressioni liriche di emozioni e analisi e discussione di problemi di ogni genere, da quelli a civili a quelli politico-sociale a quelli esistenziali. A questa materia di largo orizzonte e di varietà multiforme corrisponde, con gli strumenti espressivi di straordinaria capacità, una varietà di modalità rappresentative ampiamente acquisite da Dante attraverso le sue varie esperienze culturali e di scrittura, come testimoniano anche le opere cosiddette minori.
Molto frequente nella Commedia è la modalità della rappresentazione dialogica attraverso i continui confronti fra i pellegrini oltremondani e le anime incontrate, ed anche fra l’autore e le sue guide. Uno studio abbastanza recente di Nicolò Mineo (1988), ripreso e ampliato da Paolo di Ventura nel 2007, ha addirittura quantificato la presenza della narrazione dialogica in una quantità che dall’Inferno al Paradiso è decrescente per quanto riguarda il numero dei dialoghi, (258, 164, 103), dei personaggi parlanti (64, 41, 23), delle battute, ma crescente per quanto riguarda il valore del dialogo (49, 51, 62) e anche la proporzione tra versi narrativi e versi dialogati.
E questo, come rileva Riccardo Scarcia, in eccesso rispetto alla proporzione tra parti narrative e parti dialogate presente non solo nei grandi poemi classici ma anche nella letteratura romanza. Questa, che potremmo quasi chiamare predilezione di Dante per il dialogo, ha una sua ben precisa ragione non soltanto nell’esigenza rappresentativa di scelta mimetica ma anche nelle radici stesse della motivazione basilare dell’opera.
La Divina Commedia nasce e, credo, ne siamo tutti convinti, non soltanto dal naturale impulso dello scrittore a dare rappresentazione di sé e del suo personale spazio sociale e artistico nelle travagliate vicende dell’esilio, ma anche dal bisogno indomabile di intervenire con le sue esperienze culturali nell’ancora confuso e problematico mondo della trasformazione politico-sociale davanti alla quale si trova ad agire. Non a caso la sua rappresentazione ha una struttura drammatica, e non solo nella forma evolutiva del viaggio e della purificazione personale, ma anche nella complessità delle vicende mondane alla quale l’ascensione oltremondana nella sua faticosa catarsi dei tre mondi dà una perfetta corrispondenza teologica.
Il mondo di Dante, quindi, è un mondo di per sé drammatico: drammatico nell’evoluzione spirituale del pellegrino autore e drammatico nel contrasto tra peccato, fragilità, limitazione umana e infinito splendore della beatitudine cercata. Sarebbe, però, errato pensare a un dramma soltanto individuale o addirittura solipsistico a rappresentare il quale sarebbe forse bastata la forma lirico-ascetica o trattatistico-razionale. Dante rappresenta non solo il suo cammino ma quello di tutto il mondo umano del passato del presente e, nella speranza, del futuro attraverso l’ispirazione anagogica e figurale. Ed è anche per questo che deve ricorrere a una narrazione dialogica e dialettica nell’incontro scontro e, poi, empatico e, poi, estasiato con le anime.
Al di là di questa motivazione profonda che si radica nell’esigenza esistenziale e culturale dell’autore, la forma del dialogo dà anche la possibilità di assecondare la struttura materiale del racconto di mimetismo simbolico sia per quanto riguarda le variazioni del rapporto non solo emotivo ma soprattutto esistenziale con le vicende e i personaggi umani nei tre regni, sia per quanto riguarda la funzione di informazione-spiegazione che attraverso le analessi delle rievocazioni e le prolessi delle profezie compattano il tempo narrativo.
Dante naturalmente assolve a questa funzione con l’ausilio straordinario del suo plurilinguismo sia orizzontale, oscillando tra lingua dotta e lingua popolare, sia verticale presentando panoramicamente le varie parlate volgari dal provenzale al toscano. Sarà allora necessario e utile andare a cercare gli esiti di questa operazione non solo formale nell’esame delle caratterizzazioni riservate ad alcuni tra i più conosciuti dialoghi della Commedia. A partire dal suo dialogo con il lettore attraverso allocuzioni, esortazioni (“O voi che siete in piccoletta barca”) e rimproveri.
Non si può trascurare, inoltre, o sottacere l’importanza del dialogo continuo di Dante con le sue guide: prima Virgilio e poi Beatrice e, sul finire dell’ascesa trionfale del Paradiso, San Bernardo. E questo, ancor più, sia per quanto riguarda la missione affidata alle guide che la loro dimensione storica.