Non servono le feste alle donne per sancire la loro esposizione alla violenza, non giovano le giornate dedicate per snocciolare dati in percentuale che statisticamente ribadiscono l’aumento annuale di casi di femminicidio. Sono però utili a tutta la società come monito che esiste un problema, anzi un’emergenza ormai, da non derubricare a semplice incompatibilità nei rapporti interpersonali o ad aggressività caratteriale dei singoli. E queste giornate sono ancora più utili se accompagnate da convegni, dibattiti, letture che spingano alla riflessione su un fenomeno dalle tante implicazioni di carattere storico, sociologico, antropologico, culturale, psicologico e, in alcuni casi, perfino psichiatrico.
In questo senso è stata veramente fruttuosa la conferenza tenuta nel salotto culturale Prospettiva Persona da Maria Laura Di Loreto dal titolo L’amore non uccide, che con le donne vittime di violenza si relaziona costantemente per lavoro. Non solo parole per raccontare la sua esperienza, ma testimonianze dirette (on line) delle protagoniste, dati rigorosi, analisi dei dati rilevati, interpretazione del fenomeno cercando di ravvisarne la genesi per tentare anche di individuare possibili interventi, se non soluzioni. Il dibattito che ne è seguito ha focalizzato l’attenzione sulla società intera, diventata sempre più aggressiva, sulla debolezza delle istituzioni, sulla precarietà lavorativa.
Io estenderei la radice del male alla storia della nostra società occidentale, alla sua fisionomia strutturale fondata sul patriarcato, che ha conservato la mentalità e la cultura patriarcale nei rapporti di potere e nel linguaggio anche quando è diventata fortemente industrializzata ed anche acculturata. Parallelamente, la competitività è cresciuta fino alla nevrosi e a situazioni di vero e proprio disagio.Senza trascurare l’aumento delle dipendenze come droghe e alcool.
Certo, la violenza sulle donne è esistita fin dall’antichità, e le tragedie classiche e perfino le commedie ce ne danno diffusa testimonianza. Il commediografo Aristofane fa dire ad una donna nell’assemblea delle Tesmoforiazuse:”Care donne, non è per ambizione che mi sono alzata a parlare, lo giuro sulle due dee, ma perchè da troppo tempo soffro a vedervi infangate…e coperte da ogni genere di offese.”
Ma oggi la corsa dei femminicidi galoppa freneticamente al ritmo di quasi due al giorno e questo aumento vorticoso deve costringerci ad analisi ulteriori e a capire che non basta il lavoro pure necessario e meritorio della protezione delle donne dopo le loro denunce; non è sufficiente neanche il progetto di legge di dotare di un braccialetto elettronico i maltrattanti.
E’ necessario lavorare sulla prevenzione, oltre che sulla protezione. Ma in questo caso, il lavoro è molto lungo, complesso e lento. Perchè bisognerebbe ristrutturare una società che si è completamente destrutturata, ricostruire i punti di riferimento crollati e i valori distrutti, rafforzare le istituzioni come la famiglia che non esiste quasi più, tranne eccezioni, e la scuola, ormai diventata azienda. La famiglia e la società deboli, che non sanno più dire dei no, hanno sfornato prevalentemente due atteggiamenti, più che “la cassetta degli attrezzi” della cultura per affrontare vita e lavoro: da una parte il bullismo dei carnefici, dall’altra la rassegnazione delle vittime. E purtroppo, sia nei maschi che nelle femmine quasi indifferentemente. Solo che poi fattori storici e sociali fanno sì che siano più i maschi che le femmine a conservare nel tempo gli stereotipi negativi. La riconversione culturale ha tempi biblici di generazioni e deve iniziare con l’estirpare la “gramigna” del “ malamore”, come lo definisce Concita De Gregorio,cioè l’identificazione dell’amore con il possesso e aggiunge “Sradicarlo costa più che tenerselo”
Dacia Maraini confida molto nel lavoro educativo della scuola: “E’ assolutamente necessario insegnare, già dalle scuole primarie, che ogni proprietà è schiavitù e la schiavitù è un crimine.”
Aggiungerei il valore educativo dell’esempio in famiglia. In attesa dei cambiamenti biblici, intanto le mamme possono educare i figli maschi ad aiutare nei lavori casalinghi senza sentirsi sminuiti nella loro virilità, spingendo prima di tutto i propri compagni a farlo, se non altro per un messaggio educativo. Laddove la famiglia esista ancora e la scuola funzioni.