Nella sala Caduti di Nassiriya del Senato è stata presentata – in occasione del 30° anniversario della ratifica della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia – una proposta di legge popolare per modificare l’articolo 1 del codice civile attribuendo capacità giuridica al nascituro sin dal concepimento. Una tale proposta storicamente ha origine nel 1995, quando fu presentata però da un comitato di sole donne. Il tema infatti è in discussione da ormai quasi trent’anni, perché attiene a un principio noto ai giuristi, per diverse implicazioni.
La modifica recita:
«Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita».
Ovviamente la capacità giuridica non corrisponde alla capacità di agire che il concepito non può avere. Anche la recente approvazione dell’assegno unico per le famiglie è un segnale nella stessa direzione, perché ne sono stati definiti destinatari anche i nascituri, dal settimo mese di gestazione, che si aggiunge al ddl 2255 sulle malattie rare, che prevede lo «screening prenatale esteso» che permetterà di intervenire su una serie di patologie che si manifestano a uno stadio fetale.
Ci domandiamo: questi interventi, tornati alla ribalta forse anche grazie alla pandemia, corrispondono al sentire giuridico del Paese? Non si dovrebbe precisare se con ‘bambino’ si intendano anche il feto e l’embrione oppure se questi termini tratteggino soltanto una persona ‘in divenire’?
Ha fatto scalpore la presa di posizione favorevole del noto giudice costituzionale Giuliano Amato, laico e socialista, ma non con questo possiamo concludere che la sua posizione trovi riscontro effettivamente nella popolazione non cattolica del paese. Più prevedibile la posizione della Lega, la cui senatrice Erica Rivolta ha pure appoggiato la proposta giudicandola un punto fermo per la difesa di tutti i fragili. Filippo Vari, ordinario di diritto Costituzionale ha aggiunto che vi sono già, sul piano giuridico, caposaldi legislativi in tal senso, come la sentenza n°35 del 1997 della Corte Costituzionale, che riconosce la vita come il primo dei diritti dell’uomo, a prescindere dalla nascita e dalla capacità giuridica. Anche l’articolo 1 della Legge 40 afferma che «il ricorso alla procreazione assistita assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito».
Si sta davvero assumendo verso una posizione di cura della vita in tutto il suo sviluppo, ferma restando la tappa fondamentale della nascita? I segnali che vengono dal paese – si pensi all’eutanasia e al suicidio assistito – non sono affatto univoci. I conflitti sono sempre lì lì per esplodere. La forza dei principi si scontra con il realismo delle circostanze tragiche della vita di tutti i giorni. Ciononostante, la modifica dell’art. 1 sarebbe già un buon risultato, sperabilmente condivisibile in vista dei diritti patrimoniali.
Giulia Paola Di Nicola