“Ad Aleppo la luna si specchia” di Maria Teresa Barnabei, Demian Edizioni, Te, 2020
Il titolo è dato dal primo racconto della sezione “Il mondo”, vincitore del premio “Cavallari nel 2017, ambientato appunto ad Aleppo, città siriana teatro di guerra per un “groviglio di etnie, religioni e interessi” che la protagonista Luisa deve decifrare e descrivere come inviata del suo giornale. “Uno svincolo antico tra Mesopotamia e Mediterraneo e che anche ora continua a sembrarle come un letto fluviale che accompagna lo scorrere di carovane tra mondi diversi”, su cui lo sguardo della giornalista, alter ego della scrittrice, si posa con attenzione e meraviglia per restiturcene “il caleidoscopio di voci, colori, odori (…) lo splendore dei broccati appesi alle porte dei negozi…il tripudio odoroso delle spezie innumerevoli nelle grandi ceste. Un poutpourri inebriante…”
Dopo 5 anni dal suo arrivo, il crollo di edifici causato da esplosioni di bombe la tiene immobilizzata per un tempo sufficientemente lungo da farle ripercorrere in un ampio flashbak il suo vissuto in quel crogiolo di etnie e culture “più caldo e ricco dell’appiattita omologazione multietnica americana”. Scorrono come in sequenza i ricordi legati alll’amore per Khaled, avvocato appartenente “al gruppo consistente ma minoritario della etnia curda di Aleppo”.
Nessuna concessione lirica ed emotiva alla narrazione dell’amore, nessun cedimento al coinvolgimento nella storia narrata in terza persona con il distacco del racconto oggettivo. L’analisi lucida dei luoghi e dei personaggi la porta a fornirci referenti precisi e dettagliati della storia e del paesaggio: Khaled è nato tra le montagne del nord e, anche se lavora in città, ogni fine settimana torna lì, nel Kurdistan siriano, “nelle terre di quel grande altopiano dove nascono i fiumi della storia. Un territorio antico che, disteso tra Siria, Turchia e Iraq, si comprime tra i due specchi del mar Nero e del golfo di Persia (…) frammento di un sogno ineliminabile di nazione assediata e mai vinta…”. Una rapida sintesi delle vicende caratterizza la dimensione storica : dopo la “convivenza pacifica del curdistano stato di Rojava nella prospettiva di una federazione, la reazione violenta di Assad..faceva risorgere le antiche oppressioni e perfino la negazione della stessa nazione curda. E nel groviglio delle risorgenti ostilità etniche, l’assalto brutale delle milizie dell’Isis e infine la reazione popolare contro il governo siriano”. Luisa, la giornalista, si libera dalla trave e riesce a salvarsi grazie al cagnolino Talun che le si accoccola vicino e richiama con il suo abbaiare il padroncino Aylan, “un bambino di guerra” che poco dopo si farà esplodere per travolgere con lui il carnefice del suo amico peloso. Una fine lieta insieme ad una tragica, amaramente legate con lo stesso stile asciutto con cui si descrivono le vicende di vita e di morte come fenomeni naturali.
Il microcosmo dei rapporti interpersonali della prima sezione del volumetto e delle relazioni sociali del paese descritte nella seconda sezione si allarga al macrocosmo del mondo e vi si rispecchia, in un percorso sommativo che tiene conto del punto di partenza, non dimenticando chi siamo e da dove veniamo nell’ampliamento dei nostri confini fino allo scontro tra civiltà ma anche all’approdo al sincretismo culturale.
Le storie personali della quotidianità svoltano in soluzioni inattese nel primo racconto “Come ogni giovedì” o nell’amara conclusione di un tardivo rapporto di quasi amore in “La passeggiata”; la miracolosa sopravvivenza al terremoto della statua in “L’angelo che guardava lontano”e la realtà autobiografica in “L’esame di ammissione”si intrecciano nel paese; i conflitti internazionali di “Ad Aleppo la luna si specchia” e il dramma di Severina terremotata si incontrano con quello degli emigranti attraverso Medici senza frontiere, grazie ai quali lei, “strappata alle sue montagne, sta entrando nella casa grande e affollata del mondo”.
Il ritmo narrativo è sempre coinvolgente e lascia trasparire la partecipazione del punto di vista della scrittrice, sebbene con l’occhio vigile e privo di effusioni sentimentali, che mi ricorda molto quello di Dacia Maraini.
Elisabetta Di Biagio