Riflettendo sul volume “Ben più che Madonna” di Giulia Paola Di Nicola ( ed. Effatà), mi sono chiesta: “ chi era veramente Maria, cosa sappiamo realmente di Lei?”. La nostra concezione della Madonna è molto legata alle immagini di una fanciulla con le mani giunte, di una donna con un bimbo in braccio o di una donna affranta dal dolore che sorregge il figlio morto.
Leggendo questo libro, incentrato sulla figura più conosciuta e venerata dalla cristianità, invece non si può fare a meno di riflettere sulla differenza che si nota fra l’immagine che ne risulta e quella tramandata dalla cultura popolare (e in buona parte avallata dalla Chiesa), cioè il prototipo della donna dedita solo alla casa e alla famiglia, ubbidiente, remissiva, fragile, idealizzata anche a scopo pedagogico.
In realtà da queste pagine emerge la figura di una donna, una ragazza, certo umile e legata alle tradizioni del suo popolo, ma sicura nella consapevolezza di essere portatrice di un grande evento salvifico, forte nel portare avanti la sua missione; una donna vera, concreta, che vive la vita di ogni giorno guardando al futuro e seguendo quella che ritiene la volontà di Dio.
Maria è stata oggetto non solo di venerazione, ma anche di numerosi studi come testimonia una ricca mariologia. Eppure stupisce constatare quanto poco si racconta di Lei nei Vangeli: se ne parla poco, ma la sentiamo sempre presente, e sentiamo che si tratta di una figura anomala, unica; la incontriamo nell’episodio dell’Annunciazione (narrato da Luca) quando si affida alla volontà di Dio senza incertezze, e già si manifesta in tutta la sua forza nel dichiararsi decisa ad accettare la proposta dell’angelo.
Nel III capitolo l’autrice scrive che Maria si fa “piccola”. Ma più si fa piccola, più emerge la sua forza interiore e anche il suo carattere; ci appare non come una eterea ragazzina (quale in effetti era, poiché avrebbe avuto circa quindici anni), ma come donna sicura di quello che fa, capace di assumersi l’onere della missione affidatale da Dio. Il Signore la chiama e lei risponde senza chiedersi quale potrebbe essere per lei la conseguenza di una tale accettazione.
La sua presenza sollecita e attenta si intuisce nell’episodio del ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio. Non sappiamo nulla del tempo intercorso tra i due momenti, circa dodici anni; dalla narrazione evangelica emerge la figura di un ragazzo sapiente, sicuro di sé (già consapevole della sua natura e della sua missione), ma rispettoso dei familiari; è Maria ad apostrofarlo, facendogli, gentilmente ma fermamente, notare come il suo comportamento avesse preoccupato lei e Giuseppe. Sappiamo che la risposta del Figlio fu piuttosto secca, ma poi seguì i genitori. Da questo episodio possiamo evincere quanto fosse attenta e sicura, ma anche autorevole la guida di Maria .
Ancora. Ci appare donna attenta e sensibile alle nozze di Cana quando, preoccupata per la possibile brutta figura degli sposi, sollecita il Figlio a intervenire; e lui, probabilmente malvolentieri (Gv. 2,4), accoglie l’invito materno, compiendo il miracolo che segna l’inizio della sua predicazione. Negli anni della vita pubblica di Gesù alcune donne lo seguivano, ma non troviamo l’indicazione che ci fosse anche Maria; possiamo immaginare che seguisse il figlio ma rimanendo in disparte, “piccola” ma partecipe.
Maria ci appare come un modello perfetto di educatrice: una guida che aiuta, sostiene, accompagna, senza imporre la sua personalità. In ogni situazione si evidenzia l’unicità della figura di Maria, come quando si trova ai piedi della Croce, dolente come può essere una madre che vede morire il proprio figlio, e per giunta di morte ignominiosa, forse anche delusa perché non capiva come colui che era stato annunciato come il Messia, il Liberatore, subisse una sorte così crudele. Eppure anche in questa circostanza si dimostra forte, non si abbandona ad atteggiamenti eccessivi, ma vive in silenzio il proprio dolore e accetta di considerare quale figlio Giovanni; e segue sicuramente Giovanni nei giorni successivi, infatti si trova con lui e con gli altri discepoli nel momento della discesa dello Spirito.
Oltre la forza, quello che colpisce di Maria è la capacità di ascoltare, di fare il silenzio dentro di sé, quel silenzio che le ha consentito di ascoltare la voce del Signore e di comprendere la grandezza della missione che le veniva affidata. Questa è una grande lezione, sempre valida: è necessario creare il silenzio interiore anche solo per poter ascoltare la cosiddetta “voce della coscienza”, la risonanza interiore dei valori appresi, e spesso negletti, e per poter dialogare con gli altri. Non ci può essere dialogo senza ascolto, così come non può esservi ascolto senza il rispetto per l’altro.
Nella società odierna, dove trionfa la cultura dei “social”, sembra che in molti casi rimanga poco spazio per l’ascolto e per una autentica socialità. A questo proposito vengono in mente alcuni modelli di madre, antichi e moderni, che o si disinteressano della formazione dei figli o impongono la loro volontà o ancora soffocano i figli con attenzioni eccessive, spesso impedendo loro di seguire la propria strada. Vengono in mente anche i tanti fatti riportati dalle cronache, che dimostrano come l’egoismo, l’incapacità di capire e di accettare ciò che non corrisponde alle aspettative e ai modelli precostituiti, genera intolleranza e tragedie all’interno delle famiglie.
Allora la figura di Maria ci fa riflette su quale sia il modo migliore per educare i bambini e i ragazzi. E’ vero che i contesti e le situazioni delle famiglie sono diversi, ma le più valide teorie pedagogiche indicano la strada maestra: è indispensabile che la famiglia, in particolare la madre, sia una guida sul piano materiale e sociale, ma è necessario che trasmetta, oltre ai comportamenti, valori e ideali, non imponendo, ma guidando “stando dietro”, potremmo dire dietro le quinte.