Siamo piuttosto orientati a celebrare persone famose che hanno compiuto azioni di grande rilievo e dimentichiamo spesso che la storia dei popoli è fatta dal contributo di tante piccole storie, di tanti piccoli eroi lasciati nel dimenticatoio. A volte sono i libri a resuscitarli ma si sa che i libri non colpiscono l’attenzione tanto quanto le immagini e allora spesso sono i film’storici’ a far scoprire volti, fatti, imprese importanti che ci stupiscono: riusciamo, infatti, ad immergerci maggiormente all’interno di un determinato contesto potendo così conoscere profondamente una verità e aprire gli occhi su realtà vissute e spesso volutamente ‘coperte’.
E’ il caso di ‘Milada’, un film cecoslovacco del 2017 diretto da David Mrnka, che racconta la storia di Milada Horáková, una giurista e politica cecoslovacca divenuta celebre per le sue battaglie, prima contro il nazismo e poi contro il comunismo.
Nata nel 1901, la Horáková nel 1926 si laurea in giurisprudenza e intanto partecipa attivamente alla vita politica del paese. Aderisce al Partito socialista nazionale cecoslovacco (altra cosa rispetto al nazionalsocialismo tedesco), e si batte per i diritti civili, in particolare per quelli delle donne. Nei successivi 15 anni divide il suo tempo fra il lavoro al consiglio comunale di Praga, dove si occupa di attività sociali, e la famiglia: nel 1927 sposa Bohuslav Horák, che condivide le sue battaglie politiche, e nel 1934 nasce sua figlia, Jana.
Quando la Germania occupa il suo paese, Milada entra molto attivamente nella resistenza, e nel 1940 finisce nelle mani dei nazisti, che la condannano a morte, ma poi la mandano in un campo di concentramento. Dopo la liberazione, nel 1945, torna a occuparsi di politica, ed entra in parlamento, dove continua le sue battaglie in favore dei diritti dei più deboli, rifugiati e donne soprattutto.
Nel ’48 il regime comunista, instaurato in Cecoslovacchia con un colpo di stato quasi incruento, (dove il quasi indica centinaia di oppositori arrestati o costretti a fuggire dal paese), lei rifiuta di aderire al partito nonostante le pressioni e le velate minacce, si dimette per protesta dalla carica parlamentare, e non nasconde la sua avversione al nuovo corso che ha preso il paese. Nei mesi successivi molti dissidenti riparano all’estero, ma non lei, che si rifiuta di seguire quella strada che in tanti le consigliano. Milada Horáková sceglie di rimanere, sceglie di continuare a fare opposizione, finché non viene arrestata, l’anno successivo. Il marito con la figlia lascia la Cecoslovacchia. Accusano Milada di spionaggio e cospirazione e i funzionari comunisti tentano in tutti i modi di farla capitolare, con terribili torture fisiche e psicologiche, ma lei non si arrende, mai, nemmeno durante il processo, che comincia il 31 maggio 1949 e la vede alla sbarra insieme ad altre dodici persone. Milada è praticamente l’unica persona a rivendicare con fermezza le sue posizioni, l’unica ad opporsi alle argomentazioni dei pubblici ministeri, sapendo bene a cosa va incontro.
L’8 giugno 1950 Milada Horáková viene condannata a morte per impiccagione, insieme ad altri tre imputati.
Il mondo è sgomento: l’impiccagione di una donna, madre di una ragazza di 16 anni, sembra inaccettabile a tutti. Si mobilitano in suo favore Albert Einstein, Winston Churchill ed Eleanor Roosevelt, ma anche intellettuali di sinistra come Jean-Paul Sartre, Albert Camus e Simone de Beauvoir. Tutto inutile: muore impiccata all’alba del 27 giugno 1950, nel cortile della prigione di Pankrác, a Praga, la sua città.
Prima di morire scrive una straziante lettera alla figlia, un testamento spirituale che racconta la grandezza di questa donna:
“… La vita è dura, non coccola nessuno, e ogni volta in cui ti colpisce ti assesta dieci colpi. Abituatici presto, ma non lasciare che ti sconfigga. Decidi di combattere. Abbi coraggio e obiettivi chiari e vincerai sulla vita. (…) Gira il mondo con occhi aperti, e ascolta non solo i tuoi dolori e interessi, ma anche i dolori, gli interessi e i desideri degli altri. Non pensare mai che qualcosa non ti riguardi. No, tutto ti deve interessare, e tu dovresti riflettere su tutto, confrontare, comporre fenomeni individuali. L’uomo non vive nel mondo da solo; in questo c’è una grande felicità, ma anche una tremenda responsabilità. (…) Ho cambiato idea molte volte, riclassificato molti valori, ma, quel che resta come valore essenziale, senza il quale non potrei immaginare la mia vita, è la libertà di coscienza. Vorrei che tu, mia piccola ragazza, pensassi se ho avuto ragione oppure no.”
Dopo il buio imposto dalla dittatura comunista (tra il 1948 e il 1960 furono giustiziate 234 persone: 233 uomini e una donna) il nome di Milada Horáková è stato riabilitato: oggi è considerata un eroe in Repubblica Ceca, il tempo e la libertà riconquistata hanno reso giustizia ad una donna la cui volontà non ha mai ceduto.
E’ giusto raccontare storie come questa, è positivo trasmetterle alle nuove generazioni in un tempo in cui i punti di riferimento vengono meno o, quando ci sono, spesso, rappresentano il frutto dell’imbarbarimento culturale della nostra società. Non si tratta di celebrare semplicemente una donna, ma di indicare un diverso modo di stare al mondo. Con coerenza e dignità, costi quel che costi. Proprio come Milada.
La vera Milada e l’attrice israeliana Ayelet Zurer che interpreta il ruolo dell’eroina cecoslovacca