Il 16 giugno, il Bloomsday, è il giorno in cui tutto il mondo, e in particolare a Dublino e Trieste, gli studiosi e i lettori di James Joyce celebrano lo scrittore irlandese le cui opere, soprattutto Ulysses (1922) e Finnegan’s wake (1939), hanno messo letteralmente a soqquadro il mondo letterario di un’intera generazione.
La data prende il nome del personaggio di Bloom in Ulysses e il romanzo è la narrazione di quanto accadde il 16 giugno del 1904 al protagonista. Questo, inoltre, è il giorno in cui Joyce incontra Nora Barnacle che diventerà sua moglie.
Le celebrazioni, specie a Dublino, comprendono concerti, letture pubbliche del romanzo e spettacoli. Molti indossano abiti dell’epoca e camminano lungo le strade percorse da Bloom; nei pub si serve anche la colazione di Bloom a base di salsicce, pudding e pancetta, il tutto innaffiato con litri di birra Guinnes.
James Joyce nasce a Dublino nel 1882 e riceve una prima istruzione dai Gesuiti riportandone un’ impressione profonda e duratura. Dopo la laurea in lingue moderne però si rivela ben presto ribelle contro l’ambiente e le restrizioni imposte dalla famiglia e dalla Chiesa e, del tutto indifferente alla ‘rinascita celtica’ tanto caldeggiata dal premio Nobel Yeats, si esilia dall’Irlanda dal 1904 guadagnandosi da vivere presso le scuole Berlitz di Trieste, Parigi e Zurigo, insegnando inglese.
Tuttavia l’Irlanda e Dublino saranno sempre presenti nelle sue opere fino all’ossessione.
Alcuni eventi tristi della sua giovinezza provocano in lui un trauma psichico tale da far crollare la sua fiducia nell’umanità e determinare il futuro atteggiamento antinazionalista, anticlericale e antifemminista.
Dublino diventa lo specchio dell’umana stoltezza e dell’umano decadimento fin dalla sua prima opera importante , Dubliners (1914), pubblicata durante la permanenza a Trieste.
Il periodo trascorso in Italia non è dei più felici per lo scrittore: oltre a difficoltà economiche deve affrontare i problemi legati alla malattia mentale della figlia e alla sua vista subendo molte operazioni agli occhi (ben 13 in 25 anni). Diverrà cieco ma il dramma della cecità è compensato da un acuto senso dell’udito: il suono delle parole è talmente importante per Joyce da fargli affermare che, per capire meglio la tecnica narrativa , le sue opere ‘devono essere lette ad alta voce’.
Nel periodo che trascorre a Parigi riesce a pubblicare l’Ulysses, censurato in patria e negli Stati Uniti per oscenità ma accolto con entusiasmo da Ezra Pound e T.S.Eliot.
Leopold Bloom, ebreo irlandese, salva Stephen Dedalus aggredito dai soldati inglesi; lo porta a casa sua e i due cominciano a parlare di donne, letteratura, assassini e suicidi. A notte inoltrata Bloom si abbandona al fluire di immagini tra ricordi e sogno.
Il successivo romanzo Finnegan’s wake è anch’esso pubblicato a Parigi, e costituisce un esempio memorabile del ‘flusso di coscienza’ ( stream of consciousness), il monologo interiore attraverso il quale lo scrittore vuole dire la verità sulla vita umana senza veli né finzioni. Non esiste una trama nell’opera ma solo una descrizione dei pensieri non più dell’individuo in stato di veglia ma dell’individuo immerso nel sonno, il tutto descritto con ‘acrobazie verbali ‘che, per irritanti e indecifrabili che posso a volte apparire, sono comunque indice di una padronanza dello strumento espressivo impossibile da ignorare.
Joyce cambia così la concezione tradizionale del romanzo influenzando la narrativa moderna al punto che alcuni studiosi arrivano a distinguere in essa due fasi: il prima e il dopo Joyce. Nella sua analisi dell’eroe joyciano che affronta situazioni normali nella sua vita mediocre di uomo mediocre, il critico Carlo Izzo afferma che: “nel romanzo di Joyce non tanto è da vedere l’inizio di una tradizione nuova, quanto la pietra sepolcrale posta su una tradizione giunta allo stremo. Il tempo dell’epica e degli eroi, si chiamino essi Ulisse o Orlando, Rastignac o Julien Sorel, David Copperfield o Leopold Bloom, è finita…”