“Ben più che Madonna”, di Giulia Paola Di Nicola (Effatà Editrice, To, 2021)
Cosa può dire di Maria una persona che non è teologa e non frequenta gli addetti ai lavori?” Si chiede, fra le altre cose, l’autrice nella premessa. E io mi sono chiesta cosa mai potrebbe dire un saggio su Maria a me che non sono neanche un’assidua praticante cristiana. La promessa implicita nel titolo, però, di dire di Lei ben più che della Madonna, nonché la valutazione della Sua opera come rivoluzione incompiuta, hanno suscitato la curiosità di scoprire quel di più.
Il punto di vista della sociologa ha investigato la figura storica di Maria nella quotidianità del suo tempo, con un rigoroso apporto di testi sacri e di opere di studiosi ed ecclesiastici, rivolgendo lo sguardo anche alla condizione antropologica e culturale di oggi, in un continuo rimbalzare dal passato al presente per lasciare intravedere il futuro. Quando, è la sua speranza, potrà essere portata a compimento quella rivoluzione solo iniziata.
La storia terrena di Maria, giovane promessa sposa di Giuseppe, si interseca con il Divino e con il mistero, che ci immette nella teologia con una serie di eventi che non riusciamo a seguire con la ragione e che dobbiamo accettare con la fede come dogmi: l’Annunciazione da parte dell’Angelo, la Visitazione alla cugina Elisabetta con il bimbo che sussulta rivelando la presenza del Signore, ma soprattutto il dogma più irrazionale per noi donne che è quello del concepimento e del parto verginali per opera dello Spirito Santo.
E qui tocchiamo il dogma più contraddittorio che fa diventare Maria figlia del suo Figlio. Dante rende con una serie di antitesi la situazione ossimorica che la mente umana non può contenere “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio…”, nel canto XXXIII del Paradiso, opportunamente citato da Giulia Paola Di Nicola. La quale chiarisce: “ nulla quaestio sul dogma del concepimento perfettamente verginale di Maria…le osservazioni… [sono] dirette ad evitare l’enfasi trionfalistica o demolitoria sull’evento unico del concepimento verginale e a correlarlo alla condizione comune delle donne e degli uomini.”
Preferisce inoltre porre l’accento sul significato simbolico della verginità, che oggi non è più un valore per le nostre società occidentali come dato fisico. La verginità “non ginecocentrica”, come lei la definisce, ci fa spostare il focus dell’attenzione dal corpo al cuore, all’aderenza totale al progetto divino che ha qualcosa di verginale nel senso che è di un’anima pura e umile. “E’comprensibile la difficoltà ad accettare che la verginità sia di per sé un privilegio e un credito nel rapporto con Dio – osserva l’autrice – Meglio leggerla in relazione alla specifica vocazione e alla risposta personale, totale e incondizionata.”
L’accoglimento del disegno divino annunciato dall’Angelo ha qualcosa di rivoluzionario rispetto alla posizione della donna nella società del suo tempo, che non prendeva decisioni da sola ma aveva sempre bisogno di consultarsi con la madre o il padre. Maria è sola a decidere, a dire il suo sì, dimostrando autonomia di giudizio, libertà di scelta.
Altro aspetto rivoluzionario nel contesto di una società patriarcale e misogina sta nel fatto che il Signore non impone la sua decisione ma chiede il consenso di Maria tramite l’Angelo, rischiando un rifiuto, e aspetta che la ragazza decida. La sociologa rileva una novità nel rispetto della dignità umana da parte di Dio, che concede la facoltà del libero arbitrio, della responsabilità della scelta. Nella nostra società “civile”, invece, non più patriarcale ma evidentemente ancora androcentrica, molte donne vengono prese con la forza e costrette ad una gravidanza non voluta.
Rivoluzionario inoltre è il messaggio contenuto nel canto di Maria, il Magnificat, dove vengono esaltati gli umili e rovesciati i potenti dai loro troni, dove si capovolgono le sorti per eliminare la sopraffazione del potere e riscattare gli ultimi, gli sconfitti, grazie al Figlio di Maria. Questa, però, è una rivoluzione incompiuta, secondo l’autrice, considerando le tante ingiustizie che ancora ci opprimono; portarla a compimento sarà compito della donna negli scenari futuri. Citando Péguy, la Di Nicola conferma quanto detto: ” Il fatto che peccatori e peccatrici appaiano candidati più credibili rispetto al “partito dei devoti” non è in linea con la profezia rivoluzionaria del Magnificat? Non conferma il potere divino di “verginizzare” le anime, tutte immonde al confronto, a dispetto della condizione dei corpi?”
Rivoluzionaria inoltre per i tempi, e lo sarebbe ancora oggi, l’accettazione di Giuseppe a rivestire un ruolo di padre solo putativo, la rinuncia a ripudiare la donna che secondo la legge allora vigente sarebbe stata lapidata, l’adesione per amore a un progetto divino incomprensibile e misterioso. Figura materna, questa di Giuseppe, femminile come la sposa nell’accogliere la chiamata dell’Angelo con spirito puro e verginale. Papa Francesco ha deciso di valorizzare il suo apporto alla reciprocità dell’amore nella famiglia, proclamando il 2021 come anno di S.Giuseppe.
La Chiesa avrebbe bisogno di figure materne anche nel magistero del sacerdozio, per intraprendere un cammino nuovo, aprendo anche alle donne, per far cadere l’ultimo tabù e completare la rivoluzione. Su di esse ha pesato l’antico pregiudizio, risalente alle origini della Chiesa, della donna tentarice, che induce al peccato, contaminata dalle impurità del sesso. Tabù non più concepibile, anche se la forte gerarchia del potere e il maschilismo ancora presente oppongono resistenza.
Confidiamo in Papa Francesco, che mostra grande apertura sulla Chiesa mariana:”La questione della donna è decisiva nella chiesa…In un tempo come il nostro, in cui il clericalismo sta risorgendo, la chiesa è spacciata se invece di progredire torna indietro sulla questione femminile”(2maggio 2019).
Dopo aver letto il saggio, averlo meditato e soprattutto metabolizzato scrivendone, sono in grado di rispondere alla domanda posta in incipit: può dire molto, di vecchio e di nuovo, una non teologa e non addetta ai lavori come la sociologa Di Nicola, che prospetta anche uno sviluppo futuribile. Così come può dire ancora molto, Maria, ai credenti e non credenti, ai laici convinti o tiepidi nella frequenza dei Sacramenti, ai renitenti ai dogmi e all’apparato dei riti e delle gerarchie ecclesiastiche, perfino alle femministe che considerano la sua figura un modello da rifiutare per l’accettazione passiva dei disegni di Altri con l’autodefinizione “Serva del Signore”. Quel “serva”, però, non ha lo stesso valore semantico di oggi e l’autrice ci dimostra con riferimenti testuali che nella società antica alludeva al servizio d’amore, all’amore come reciprocità e unidualità, cui ci si abbandona con fiducia e non si può non farlo, perché “Amor a nullo amato amar perdona”.