Il commissario Ricciardi (serie tv da poco conclusasi su Rai1) è l’ultimo dei commissari “letterari” prestati al piccolo schermo.
Il primo, il più famoso, è senz’altro Maigret, nato dalla fantasia di George Simenon, che ne fece il personaggio centrale della maggior parte dei suoi gialli. Si tratta di un funzionario parigino, in servizio presso la sede di Quai des Orfèvres, appassionato di pesca, grande fumatore di pipa e buon bevitore di birra e calvados. Di origini contadine, Jules Maigret, dopo vari mestieri, abbandonati gli studi universitari, decide di diventare poliziotto e in breve diviene famoso in tutta Parigi. Sposato con la mite e devota Louise, condivide con lei l’amore per la campagna e il cinematografo. Il suo metodo investigativo consiste, per sua stessa ammissione, “nel non avere un metodo” ma nel lasciarsi guidare dall’istinto penetrando nella psicologia dei personaggi. I gialli di Simenon sono decisamente innovativi rispetto a quelli “all’inglese”, in cui il delitto è quasi perfetto e l’investigatore riesce trovare il pezzo del puzzle che non si incastra servendosi soltanto di logiche deduzioni. Maigret indaga invece sul campo, immergendosi nella vita di ogni giorno, a contatto con la realtà. Negli anni sessanta/settanta il personaggio di Simenon fu magistralmente interpretato da Gino Cervi, all’epoca famosissimo attore di cinema e teatro, che diede una fisionomia inconfondibile a Maigret, rendendolo suo pur mantenendone inalterate le caratteristiche “letterarie”. Un aneddoto vuole che l’attore, non fumatore, avesse imparato perfino a fumare e maneggiare la pipa per aderire al personaggio. Le serie televisive che lo videro protagonista insieme ad Andreina Pagnani nel ruolo della “Signora Maigret” sono ancora oggi un capolavoro di recitazione.
Delegato alla produzione e cosceneggiatore di quelle serie tv fu Andrea Camilleri, il padre letterario di un altro famosissimo commissario televisivo, Salvo Montalbano. Anche questo poliziotto siciliano deve molta parte della sua fama all’interpretazione di un attore, Luca Zingaretti, che si è impadronito a tal punto del personaggio da stravolgerne le caratteristiche fisiche nell’immaginario comune. A Porto Empedocle, città natale di Camilleri, una statua celebrativa del commissario lo raffigura con una folta capigliatura e dei vistosi baffi che scompaiono nella serie tv. Per il resto, tutte le caratteristiche dei romanzi vengono ampiamente rispettate: l’ambientazione nell’immaginario paese di Vigata, sulla costa ragusana, l’amore di Montalbano per la buona tavola, la sua abitudine di assaporare ogni pietanza quasi in religioso silenzio, la sua passione sconfinata per il mare e le frequenti “azzuffatine” con l’eterna fidanzata Livia. Ad affiancarlo nelle indagini sono gli stessi personaggi dei libri: Mimì Augello, collega e amico di sempre, Catarella, l’agente esperto di informatica ma pasticcione nella vita, Fazio con i suoi immancabili “pizzini” e il dottor Pasquano, scorbutico, scaramantico e golosissimo medico legale. La lingua usata in televisione è molto vicina al “vigatese” di Camilleri, un misto di italiano e parole mutuate da vari dialetti siciliani.
Cultore della lingua della propria regione è anche Maurizio De Giovanni, scrittore napoletano cui si deve l’invenzione del personaggio di Luigi Alfredo Ricciardi, che vive a Napoli negli anni trenta, in piena epoca fascista. In tv ha il volto dell’attore abruzzese Lino Guanciale. Il suo è certo il più tormentato tra i commissari televisivi. Figlio di una nobile famiglia cilentana, dopo la laurea, entra nella Regia Questura di Napoli. È proprio la città la protagonista dei romanzi e della serie tv: una Napoli lontana dagli stereotipi, spesso piovosa e fredda, cupa e notturna, che assiste a delitti e soprusi tra i suoi vicoli o i suoi palazzi nobiliari. Ricciardi porta dentro di sé una maledizione, che egli chiama “il Fatto”, la capacità cioè di vedere i fantasmi delle vittime di morte violenta, che gli ripetono ossessivamente le ultime parole pronunciate in vita. Questo, in certo qual modo, a volte può indirizzare le sue indagini, ma provoca in lui un male di vivere che gli impedisce di abbandonarsi ai sentimenti, all’amore delle due donne che, ad armi impari, se lo contendono, l’affascinante, matura e ricca vedova Livia e la dolce Enrica, timida maestra alla sua prima esperienza. A fare da contorno alla figura di Ricciardi il brigadiere Maione, molto ben caratterizzato sia nei libri sia nella fiction, e il dottor Modo, anatomopatologo medico tuttofare e fervente antifascista. I romanzi di De Giovanni su Ricciardi sono molti di più di quelli utilizzati per questa prima serie televisiva: ci sarà quindi prevedibilmente un seguito, mentre abbiamo dovuto dare l’addio definitivo al commissario Montalbano, letterariamente scomparso per espressa volontà del suo inventore, che non ha voluto che la sua creatura gli sopravvivesse.