Più o meno nello stesso periodo trattato nel precedente numero, e cioè tra la metà del XIX secolo e gli inizi del successivo, iniziano a fare la loro comparsa le cosiddette “affiches”, in un primo tempo consentite solo in luoghi adiacenti alle chiese o ai teatri e quindi aventi lo scopo di rendere note talune iniziative di culto o presentare, nel secondo caso, spettacoli.
La storia della pubblicità, d’altro canto, non è cosa recente se è vero che anche i greci e i romani vi facevano ricorso attaccando i loro papiri sui murie e sulle colonne.
Al tempo di cui ci stiamo occupando, grande progresso in materia fu dovuto all’uso innovativo della litografia che permetteva di comporre a colori, su lastra, opere che potevano poi essere riprodotte nel numero che si desiderava.
Padre di questa tecnica fu un artista parigino di nome Jules Chéret di cui riportiamo tre locandine dedicate al celebre Casino de Paris nelle quali si celebra festosamente l’immagine della donna dentro un nuovo concetto di “femminino” disinibito e liberatorio.
Siamo a ridosso di un periodo che, col suo gioioso modo di vivere, esorcizzerà ogni pedanteria, ogni immotivata rinuncia ad esprimersi liberamente e con gioia nuova: la “Belle Epoque”.
E’ un tempo che si chiuderà, ahimè, troppo presto, con l’inizio della “grande guerra”, ma che resterà per sempre connotato dal suo “charme, dal suo”can-can”, dalle risa nei cabarets, dalla gioia di toccare con mano le nuove scoperte e tecnologie. L’arte diviene ancora più libera e vede prosperare correnti come il realismo, l’ impressionismo e il surrealismo.
Non è mistero che questi grandi, profondi movimenti d’arte siano riconoscibili anche nella produzione di cui stiamo parlando e cioè manifesti, cartelloni e locandine che hanno il solo demerito di essere opere stampate su larga scala. Non di meno si fregiano, spesso, di nomi come Toulose Lautrec ed altri grandi dell’arte fra cui il nostro Mario Sironi.
Emblema della possibilità di fusione dei nuovi stili fra loro è l’opera di un artista già a noi noto, quel “Doganiere” che risponde al nome di Henri Rousseau, di cui parlammo ampiamente la scorsa volta e che di ciò che oggi trattiamo, è considerato antesignano.
La sua “La zingara addormentata” è ritenuta capolavoro di un realismo nuovo , acceso di lumi interiori, ispirati – forse involontariamente – a quanto, nel frattempo, la psicanalisi inizia ad affrontare. Qui Rousseau, nella rappresentazione di un “eros” che neanche egli stesso percepisce, ci regala l’interpretazione di una natura intatta, primordiale.
Diversamente avviene quando deve aggiungere, invece, un elemento tecnico, cosa che fa malvolentieri, come per l’aerostato, che già vedemmo, o per le locandine, che pure accettò di fare.
Di esse, dunque, fu precursore e ispiratore proprio per la fisionomia stessa della sua arte, espressione di tante anime, tutte ugualmente grandi all’interno della sua ingenuità connaturata, che Kandisky definirà la più simile a quella dei bambini e la più capace di cogliere ed esprimere appieno l’intimo senso delle cose.
Abbiamo nominato, all’inizio, Cheret, accanto al quale, altro grande creatore di manifesti, fu Eugene Grasset, un artista che privilegiava nelle sue rappresentazioni l’elemento lineare a quello tridimensionale, facendo spiccare così, rispetto al resto, proprio l’oggetto che voleva celebrare.
Operò a questo tipo di arte grafica un altro artista, Henri Privat Livemont, di origine belga, famoso soprattutto per i suoi manifesti dedicati all’Automobile Club di Francia, di cui mostriamo un paio di esemplari. Vi si nota una grande raffinatezza grafica e l’uso di colori morbidi, mai invadenti, che ben si addicono al soggetto umano quasi sempre prescelto, la donna, chiamata ad esaltare l’oggetto principale del cartellone: l’automobile. Tutto è connotato dall’ eleganza, ad iniziare dai diafani veli delle signore, ai loro monili ispirati anch’essi all’automobilismo, ai colori dell’ambiente circostante, ai fiori che tanto richiamano il Liberty.
Per dirla tutta sui manifesti e il loro indubbio apporto all’arte di fine ottocento ricordiamo l’esposizione ad essi dedicata già in quegli anni, al Grolier Club di New York e successivamente a Londra. Senza dimenticare il forte collezionismo degli stessi e l’apporto dato, fra gli altri e solo un pugno d’anni più tardi, dal nostro Mario Sironi.
E non tralasciamo di ricordare che, solo qualche anno più tardi, a questo genere si dedicarono anche nostri artisti del calibro di Mario Sironi.